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Le banche centrali suonano la fine della ricreazione

Chi legge per mestiere o per diletto gli algidi rapporti della Bis, la Banca dei regolamenti internazionali, sarà rimasto stupito dal tono schietto, quasi rude, utilizzato dalla “mamma” delle banche centrali nel suo ultimo rapporto annuale.

Come una brava maestra che suona la campanella per segnalare la fine della ricreazione, la Bis semplicemente richiama all’ordine i suoi studenti, ossia gli Stati, perché facciano tutto quello che non hanno fatto fino ad ora: risolvere problemi che sono strutturali. Pena: la catastrofe.

Le politiche monetarie accomodanti, dice la Bis, hanno semplicemente “dato tempo” e non è pensabile che possano continuare “senza aggravare i rischi che hanno già creato”.

Il problema, dice mamma Bis, è che il tempo comprato al prezzo di politiche monetarie quanto mai accomodanti e innovative “non è stato speso bene”. Gli alunni, i soliti Stati arruffoni, hanno preferito continuare la ricreazione invece che tornare in classe a fare i compiti. “Dopo tutto – scrive la Bis – il denaro a basso costo rende più facile prendere in prestito invece che risparmiare, più facile spendere invece che tassare, più facile che tutto rimanga lo stesso invece che cambiare”.

Quasi che le banche centrali non lo sapessero già. E con loro tutti noi.

Tale schiettezza di toni suona come una evidente presa di distanza. Da oggi in poi, si potrebbe dire, le banche centrali tornano all’opposizione. Torneranno in cattedra per ricordare agli stati cosa devono e non devono fare, levando poco a poco l’ossigeno che ha consentito loro di continuare a rimandare ciò che non è più rimandabile: il riequilibrio, ossia politiche per la crescita senza la droga del credito facile.

La nostra buona maestrina ha le idde molto chiare su quello che andrebbe fatto: “Le autorità – scrive – devono accelerare le riforme del mercato del lavoro e dei beni per migliorare la produttività e la crescita; il settore privato deve diminuire l’indebitamento e il settore pubblico deve assicurare la sostenibilità fiscale; i rischi nel settore finanziario devono essere gestiti”. Infine un monito chiarissimo: “L’aspettativa che la politica monetaria possa risolvere questi problemi è una ricetta per il fallimento”. E tanto per capire a chi si riferisca, la Bis ricorda che il Giappone ha i tassi a zero dagli anni ’90, ed è ancora lì che aspetta di crescere.

Della serie: noi ve l’abbiamo detto.

La fine della ricreazione, che per una curiosa coincidenza viene suonata pochi giorni dopo l’annuncio della Fed dell’inizio dell’exit strategy si innesta in un contesto finanziario quantomai fragile.

La crescita economica internazionale rimane molto debole. Quella delle economia avanzate, prese nel loro complesso, tende pericolosamente verso lo zero, e quella dei paesi emergenti, grande speranza dell’Occidente, vivacchia. Con la conseguenza che i tassi di disoccupazione sono schizzati alle stelle nei paesi ricchi, senza che gli Stati abbiano più soldi in cassa, ma anzi con debiti pubblici crescenti a rischio sostenibilità, se le strategie di raffreddamento monetario messe in campo dalle banche centrali, terminando, finiranno con lo spingere al rialzo il mercato obbligazionario e quindi il costo dei debiti pubblici.

Ma il problema non è, o almeno non solo, la sostenibilità dei debiti pubblici. Rimane in campo, pericolosa e ingombrante, l’enorme cambiale del debito privato che in molti paesi è cresciuto, fra il 2007 e il 2012, essendo già straordinariamente aumentato fra il 2001 e il 2007.

Un grafico, che prende in esame il livello generale dell’indebitamento degli ultimi cinque anni, sia pubblico che privato, mostra con chiarezza che in gran parte dei paesi “squilibrati” i debiti sono aumentati, anziché diminuire.

Gli unici paesi che hanno visto diminuire il proprio indebitamento pubblico sono l’India, la Turchia e l’Indonesia, dove però sono aumentati i debiti privati di famiglie e imprese non finanziarie. La Germania vede diminuire i debiti di famiglie e imprese, ma aumentare il debito pubblico, l’Italia aumentare sia il debito pubblico che quello delle famiglie, in Francia aumenta sia il debito pubblico che quello di famiglie e imprese. Negli Stati Uniti migliora debito delle famiglie (per lo più grazie alla crescita del mercato immobiliare e del mercato azionario pompati dalla Fed) ma aumenta il debito pubblico e delle imprese.

Insomma, per dirla con le parole della Bis:  Il debito rimane alto.

Questo genera grande preoccupazione: “Quando i tassi aumenteranno e i rendimenti cominceranno a crescere, gli investitori che hanno bond governativi perderanno grandi quantità di denaro”. Quindi banche, fondi pensione, aziende, privati cittadini. E banche centrali, che però sappiamo che non possono fallire, anche se i loro asset sono passati da 10,4 trilioni di dollari del 2007 a ben 20,5 trilioni.

Un esempio aiuta a capire. La Bis racconta infatti che quando i rendimenti dei Treasury americani aumentarono di appena il 3% lungo tutta la curva dei rendimenti, i possessori (esclusa le Fed) persero circa 1.000 miliardi di dollari. I cinesi e gli arabi saranno contenti di saperlo.

Ma anche l’Europa non scherza. Lo stesso aumento di rendimento provocherebbe perdite dal 15 al 35% del Pil di paesi come Francia, Italia e Gran Bretagna, per non parlare del Giappone. Insomma, aumentare i tassi significa spingere definitivamente l’economia nel burrone della depressione.

Come si possa gestire questa montagna di nuovo debito, creato anche grazie alle politiche accomodanti delle banche centrali, in un contesto di tassi crescenti sarà affare della politica. Una volta tornati in classe gli stati dovranno  fare i compiti, e portarseli pure a casa, dove dovranno vedersela con i loro cittadini. Con tutti noi.

Dal lato pubblico, la Bis osserva che il welfare, ossia pensioni e sanità, sarà “la principale sfida per gli stati” e insiste sulla necessità del consolidamento fiscale. Dal lato privato bisogna riuscire a tenere in piedi le banche, imbottite come non mai di debito statale, e le imprese, che non riescono ad avere credito malgrado la grande generosità fino a ieri garantita dalle banche centrali.

Poi ci sono le famiglie, certo.

Indovinate chi pagherà il conto.



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