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Lo sboom immobiliare fa esplodere i debiti degli italiani

Cornute e mazziate. Non c’è modo più rapido per sintetizzare gli ultimi otto anni di storia immobiliare delle famiglie italiane. Prima sono state irretite dal credito facile della banche, desiderose di far ripartire il boom dei corsi immobiliari, e si sono caricate sulle spalle mutui spesso insostenibili perché “così fan tutti”.

Poi, a crisi iniziata, hanno subito il crollo dei propri redditi, con la conseguenza che l’incidenza dei loro debiti sul reddito disponibile è letteralmente esplosa. Con l’aggravante che, a crisi conclamata, i corsi dei loro valori immobiliari si sono contratti, con la conseguenza che ci hanno pure perso in conto capitale.

Difficile fare peggio di così.

La storia è scritta nei numeri dell’ultimo paper della Banca d’Italia dedicato all’indebitamento delle famiglie italiane, diffuso pochi giorni fa. Un numero, in particolare la dice lunga. Nel 2003 l’incidenza dei debiti finanziari sul reddito era al 43%. Nel 2011 era già al 65%, con marcate differenze territoriali. Nel Mezzogiorno, infatti, dal 2003 al 2011 tale percentuale è praticamente raddoppiata, passado da poco più del 25 a oltre il 50%.

Come accade sempre, i più deboli pagano il prezzo più alto. Al Sud, ad esempio, il credito al consumo assorbe quasi un terzo del totale dei debiti familiari, a fronte di una media del 19%.

Rispetto alla media europea siamo ancora bassi, se questo può rassicurare. Visto che nello stesso periodo l’incidenza dei debiti sul reddito è passata dall’80% al 99%.

“La diffusione di nuove offerte finanziarie – scrive Bankitalia – per il credito immobiliare e per quello finalizzato al consumo ha favorito un più diffuso accesso al credito”. Si è replicato, insomma, lo schema che ormai conosciamo bene per i disastri che ha provocato nella storia. L’espansione indiscriminata del credito bancario ha fatto salire il livello degli asset, salvo poi condurre alla crisi bancarie, che hanno richiesto l’intervento degli stati.

Il debito privato fa peggiorare il debito pubblico. E’ successo decine e decine di volte, eppure sembra che non si impari dall’esperienza.

La crisi finanziaria, spiega Bankitalia, ha mutato la composizione del credito. Mentre si essiccava la fonte per i giovani e gli stranieri, ossia quelli che più di tutti ne avrebbero bisogno, si alimentava la domanda dei muti erogati per immobili di pregio “caratterizzata da minore rischiosità”. I soldi, insomma, vanno a chi ce li ha già. Al contempo “in tutte le aree del paese il numero dei soggetti con difficoltà nel rimborso delle spese effettuate con assegni o carte di pagamento è aumentato già a partire dal 2007, e quindi in anticipo rispetto al dispiegarsi degli effetti della crisi economica mondiale sull’economia italiana”.

A livello nazionale, gran parte dei debiti delle famiglie dipendono dai mutui contratti durante il boom immobiliare, che hanno condotto a un aumento, per quelle a più alto reddito, del 40% dell’importo del debito. “La crescita sostenuta dei prezzi immobiliari, più rapida di quella dei redditi, potrebbe avere contribuito ad accrescere il livello di indebitamento delle famiglie”, scrive la banca. “Inoltre le ripercussioni della crisi sul mercato del lavoro hanno comportato un aumento della disoccupazione e/o una riduzione delle retribuzioni per i debitori privati, aumentando l’instabilità del reddito della famiglia indebitata”. Ciò ha aumentato il livello di rischio connesso a un eventuale aumento dei tassi, anche a causa “dalla quota elevata del debito a tasso variabile, relativamente ad altre economie avanzate”.

Questo quadro ha profondamente modificato la possibilità di accesso a una casa di proprietà tramite mutuo, l’housing affordability index, che risulta leggermente migliorato fra il 2008 e il 2010, ma solo in conseguenza della diminuizione dei tassi e con profonde differenze territoriali. Nel Lazio, ad esempio, è molto peggiorato, come anche in Liguria e in Trentino, mentre è migliorato al Sud, dove i prezzi si sono abbassati di più.

L’analisi della Banca rileva ciò che era pefettamente logico ipotizzare, ossia una precisa correlazione positiva fra il numero dei mutui concessi e l’andamento delle transazioni immobiliari. Ciò malgrado, “la contrazione dei mutui erogati è stata, tra il 2004 e il 2011, più intensa della corrispondente diminuzione delle compravendite di immobili residenziali“. Questo si spiega, probabilmente, con la rilevante quota di risparmio delle famiglie italiane, alle quali queste ultime hanno attinto per sostenere il calo dei mutui concessi. I numeri ci dicono che nel 2011 sono stati erogati mutui per soli 48,9 miliardi di euro, il 21,6% in meno rispetto al picco del 2007.

Ma i risparmi sono, per loro natura, una riserva limitata. Anche perché al congelamento dei prezzi nominali “sostanzialmente stabilizzati attorno ai valori massimi raggiunti nel 2008″ si è accoppiata un incremento medio del valore dei muti concessi. Ciò potrebbe indicare “un aumento dell’importanza degli immobili di maggior valore sul complesso delle operazioni finanziate”.

“Per contro, l’evoluzione dei redditi disponibili delle famiglie, positiva negli anni precedenti la crisi, è in seguito divenuta negativa; ne è derivato un incremento dell’onerosità della rata del mutuo sulle disponibilità economiche dei nuclei familiari. L’andamento dei prezzi delle case ha fornito nel periodo un contributo complessivamente negativo, per effetto della crescita dei prezzi nel 2007 e della loro successiva stabilizzazione”. La conseguenza è stata che il loan to value, ossia il rapporto fra il prestito erogato e il valore dell’immobile, è sceso al 60% nel 2011 a fronte del 69,3% del 2006. Quindi gli italiani hanno finanziato con i loro debiti l’aumento dei corsi immobiliari, salvo poi rimanere strozzati.

Ci siamo strozzati con le nostre stesse mani.

Su tutto ciò influisce non poco l’andamento delle quotazioni immobiliari. Il rapporto fra prezzi e locazioni si è ridotto grazie al combinato disposto fra il calo dei prezzi degli immobili e l’aumento del costo delle locazioni. Viene dimostrato, insomma, che le famiglie sono di fatto spinte verso il mercato degli affitti.

Ricapitoliamo. All’indomani della Grande Crisi, le fasce più deboli della popolazione, ossia giovani e stranieri, sono tagliate fuori dal mercato dell’acquisto della prima casa, malgrado siano le categorie che più di tutte potrebbero esprimere una domanda in tal senso, mentre sono costrette a rivolgersi al mercato degli affitti.

Gli unici che ancora movimentano il mercato immobiliare sono le famiglie ad alto reddito, che riescono a compensare con i redditi più elevati o i risparmi la quota di capitale necessaria a comprare un immobile, ma sono quelle che hanno la quota di debito più elevata e quindi sono le più esposte sul versante dei tassi.

L’Italia si conferma essere un paese sempre più duale, sbilanciato a favore di chi ha consolidato la propria ricchezza. Quest’ultima viene lentamente erosa, anche a causa del calo delle quotazioni immobiliari e dell’aumento dei debiti, che fa diminire la ricchezza netta.

Non siamo un paese per giovani.



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