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Repubblica elogia una Mediobanca che la Borsa non apprezza troppo

mediobanca

C’erano una volta i commentatori che seguivano come unica stella polare gli andamenti di borsa dei titoli per decretare la bontà o meno dei piani aziendali.

C’erano una volta, perché ora non ci sono più. O meglio, ci sono ma se i vertici aziendali indicano strategie su cui gli stessi commentatori chiedevano conto e anzi le auspicavano allora quei vertici sono buoni, bravi e belli. A prescindere, anche di Piazza Affari.

Questa sensazione è oggi palese nell’editoriale di Massimo Giannini su Affari e Finanza. La Borsa ha bocciato di fatto venerdì il piano di Mediobanca di progressiva uscita dai cosiddetti salotti buoni? Che importa, la scelta è giusta secondo Giannini, quindi la borsa ha torto.
Siamo proprio sicuri? Si vedrà da oggi e nei prossimi giorni se questo giudizio sarà o comunque si continuerà ad evidenziare dall’andamento delle quotazioni del titolo di Piazzetta Cuccia.

La svolta di Mediobanca, secondo Giannini, suggerisce una doppia riflessione. “La prima riflessione è di natura culturale. La criticità della recessione, e la modernità della globalizzazione, hanno finito per travolgere anche il piccolo mondo antico della finanza tricolore. Più che un’epoca, finisce un’era geologica. Quella del logoro e anti-storico capitalismo di relazione, ‘a suffragio ristretto’, concepito nei Salotti Buoni e costruito sui conflitti di interesse e i patti di sindacato, le partecipazioni incrociate e le scatole cinesi. Il Sistema va in pezzi, non regge più. Sarebbe patetico, oltre che inutile, illudersi di poterlo salvare con le logiche di una volta, che hanno creato le premesse per i disastri attuali. Ed è significativo che a prenderne atto siano proprio gli eredi di Enrico Cuccia a Mediobanca, che di quel Sistema è stata per mezzo secolo il cuore e la testa. L’Ircocervo voluto e allevato dal banchieresimbolo del catoblepismo si avvia verso l’estinzione. Ed è un bene che sia così. La seconda riflessione è di natura fattuale. Sciogliere i patti Telco, Rcs e Pirelli, come annunciato da Nagel, è un’opera meritoria. Ma è anche la certificazione di un triplice fallimento. Ciascuna di queste cassaforti non è servita a custodire valore, ma semmai a dissiparlo”.

Sta di fatto che è solo un assioma sostenere che uscire o limare le proprio partecipazioni in gruppi come Generali ad esempio sia sempre e solo proficuo, anche se la strategia è dettata anche da ragioni contabili. Ma questo snobbare, anzi quasi schifare, la presenza in Telco, Rcs o Generali potrà anche soddisfare l’ego di qualche analista anglosassone ma forse per il sistema Italia deve indurre più a una riflessione che a un elogio aprioristico.



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