Lea Garofalo è una donna calabrese, nata e cresciuta in una famiglia di ‘ndrangheta. A 17 anni si sposa con l’uomo che ama e che appartiene anche lui a una famiglia di mafia. Nasce una bimba, Denise ma Lea è insoddisfatta e capisce che quel modo di vivere le sta stretto. Vuole per sua figlia un futuro diverso, non deciso alla nascita come per lei e diventa testimone di giustizia. L’ex marito la ucciderà il 24 novembre del 2009 perché ha trasgredito quel “codice d’onore” della ‘ndrangheta che non si può che lavare con il sangue.
Questo uno dei tanti racconti di “Onora la madre, storie di ‘ndrangheta al femminile”, primo saggio di una giovane giornalista, Angela Iantosca, che ha studiato il ruolo delle donne nella mafia calabrese (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli-CZ 2013, pp. 237). Nel libro, che il prossimo 30 giugno sarà presentato a Roma, nell’ambito del “Fringe Festival” di Villa Mercede (ore 18.00, via Tiburtina 115), la giovane autrice racconta come è cambiato il ruolo della donna nella ‘ndrangheta dai primi del Novecento a oggi, evidenziando come a una iniziale presenza femminile, riflessa in un corrispondente coinvolgimento nei processi, sia seguita la sua scomparsa dagli atti giudiziari sino ad arrivare al suo recente ritorno.
Viaggio in una Calabria sconosciuta
Iantosca compie un viaggio in quella Calabria sconosciuta che si declina al femminile, attraverso i documenti, i riti, le tradizioni, la fede, le parole dei Pm, degli storici, della gente, per arrivare ad affermare che la donna è divenuta asse portante della ‘ndrangheta perché, nei decenni, nascosta all’ombra delle case, è lei che ha nutrito, tramandato, gestito una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo.
“Onora la madre”
“Onora la madre, storie di ‘ndrangheta al femminile” è un testo articolato ma che si legge facilmente perché scritto in maniera asciutta, essenziale e in stile giornalistico, anche perché riflette l’interesse ed il coinvolgimento dell’autrice in vari movimenti nati in favore della legalità. E’ stato dopo l’incontro con Don Aniello Manganiello, il prete “anti-camorra” di Scampia autore del celebre “Gesù è più forte della camorra” (Rizzoli, Torino 2011), che Iantosca ha deciso di cooperare a tale importante battaglia civica.
Per l’elaborazione del suo saggio la Iantosca deve molto al docente e scrittore, già deputato del PCI, Enzo Ciconte, consulente per undici anni (1997-2008) della Commissione parlamentare antimafia, che è autore anche della prefazione del libro. Anche dalla Procura di Reggio Calabria è stata offerta massima disponibilità, non tacendo naturalmente quella della gente che l’autrice ha incontrato negli ultimi anni, calabrese e non.
La ‘ndrangheta, negazione di ogni amore familiare
Dalla sua prospettiva squisitamente femminile, la Iantosca descrive bene come la ‘ndrangheta, o meglio la mentalità ‘ndranghetista, annulli l’essenza di qualsiasi reale rapporto familiare, anche l’amore di una madre per il figlio o al contrario quello del figlio per il genitore: «Sembra impossibile – scrive -, ma le regole della ‘ndrina sono più forti dell’istinto, della natura. Non si acquisiscono, si tramandano, si respirano nella famiglia, in un mondo chiuso, omertoso e più esteso di quanto si possa immaginare perché anche chi non è coinvolto direttamente lo accetta e lo condivide non contrastandolo».
Il libro dimostra quindi come sia profondamente cambiato negli ultimi anni il ruolo delle “donne di ‘ndrangheta”, le quali non rimangono più due passi indietro al marito o alla “famiglia”. Certo, «le decisioni sono sempre degli uomini ma le mogli e le madri nel tempo sono diventate vivandiere, usuraie, spacciatrici e spietate come i loro compagni. Alcune nate in questo ambiente si sono sentite soffocare e come Giuseppina Pesce, dopo il suo arresto, decide di rompere con la famiglia mafiosa per salvare i propri figli e diventa collaboratrice. Ad un prezzo enorme, a volte la vita stessa».
Papa Francesco: “Preghiamo perché mafiosi e mafiose si convertano!”
Grande spazio la Iantosca ha quindi dedicato proprio alle collaboratrici di giustizia che hanno tentato di abbattere il muro di omertà paradossalmente più impenetrabile rispetto ai componenti di Cosa nostra, perché le famiglie di ‘ndrangheta sono tutte imparentate. Leggendo il libro si capisce quanto il tessuto sociale della Calabria sia ancora molto impregnato dalla ‘ndrangheta, la quale dispone di una potenzialità economica enorme. La lotta per la legalità, nella disorganizzazione dello Stato e nell’abbattimento del senso civico e dell’etica pubblica, risulterebbe quindi quasi impari. Eppure, come traspare da “Onora la madre”, una speranza sembra esserci e, dal 25 maggio scorso, ha anche un altro testimone al cui esempio ricorrere, quello di Don Giuseppe Puglisi, sacerdote e martire, ucciso dalla mafia nel 1993. Papa Francesco, nel discorso rivolto ai fedeli dopo l’Angelus del 26 maggio 2013, l’ha definito un «sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. […] Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio e lodiamo Dio per la luminosa testimonianza di don Giuseppe Puglisi, e facciamo tesoro del suo esempio!».