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Quello che si può fare sulla giustizia. Parla Donatella Ferranti

La giustizia è il dossier più caldo della legislatura. Il tema su cui più di tutti il governo Letta rischia di scivolare. Sarà arduo trovare accordi tra Pd e Pdl su questioni come le intercettazioni e la riforma delle prescrizioni. Soprattutto se le attese sentenze sui procedimenti che vedono imputato Silvio Berlusconi riapriranno il dibattito sul tema.

Delicato sarà il ruolo delle commissioni Giustizia del Senato e della Camera. A Palazzo Madama, la commissione è guidata da un uomo vicino al Cavaliere come Francesco Nitto Palma. A Montecitorio, invece, dalla democratica Donatella Ferranti, ex magistrato, già segretario generale del Csm. Le abbiamo chiesto di tracciare le linee guida della sua presidenza.

Onorevole Ferranti, la stabilità del governo impone una moratoria alla Commissione Giustizia o si può intervenire anche su temi caldi, come intercettazioni, prescrizione e responsabilità dei magistrati?

Nessuna moratoria. Ovviamente sui temi che incidono sullo sviluppo del Paese e sulla tutela dei diritti bisogna partire dalle priorità e da proposte ampiamente condivise dalle forze di maggioranza. Attraverso riforme di sistema bisogna rendere la giustizia più efficiente ed efficace per cittadini e imprese. Temi come le intercettazioni, la responsabilità civile dei magistrati e la prescrizione sono importanti,  ma su di essi la distanza  tra le forze di maggioranza è netta. Ecco perché la Commissione che presiedo ha iniziato a lavorare sulle priorità, con provvedimenti legislativi che riguardano pene detentive non carcerarie, riforma della custodia cautelare, voto di scambio politco-mafioso, omofobia, diffamazione a mezzo stampa, oltre a due indagini conoscitive sulla violenza alle donne e  sulla durata ragionevole del processo.

Riesce a collaborare con la commissione giustizia del Senato, presieduta dal senatore Nitto Palma o le due commissioni viaggiano su binari differenti?

Le Commissioni sono autonome e da sempre Camera e Senato hanno avuto una loro specifica caratterizzazione. L’importante è evitare, applicando i principi regolamentari e quelli derivanti dalla prassi parlamentare, che ci sia una sovrapposizione dei  provvedimenti  trattati  in calendario.

La Corte europea dei diritti dell’uomo impone all’Italia di trovare una soluzione al sovraffollamento delle carceri entro un anno. Cosa si può fare?

Entro l’estate occorre una prima risposta, con misure urgenti per alleviare l’indegno disagio che affligge la popolazione carceraria. Ma poi verrà il tempo di varare riforme di sistema. Su questo tema, governo e Parlamento si sono impegnati a lavorare insieme. I rimedi sono chiari: pene alternative alla detenzione carceraria per reati di non particolare allarme sociale, la revisione della custodia cautelare in carcere, l’abolizione della ex Cirielli, l’introduzione dell’istituto della messa alla prova per gli adulti per reati di piccola entità, la revisione della legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti, nuove modalità di trattamento come la custodia attenuata e l’attuazione del piano carceri. Molti di questi provvedimenti arriveranno in Aula per fine giugno, proprio su impulso della commissione che presiedo.

Su 65 mila detenuti, ben 25 mila risultano in attesa di giudizio. Sono maturi i tempi per rivedere l’istituto della carcerazione preventiva, anche alla luce di recenti sentenze della Cassazione e di casi eclatanti come quello che ha riguardato Ottaviano Del Turco?

Sono la prima firmataria di un provvedimento di riforma della custodia cautelare in carcere, già in calendario in Commissione. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra diritto alla libertà individuale, esigenze di sicurezza e necessità processuali connesse all’accertamento del reato. Il carcere  deve essere una extrema ratio senza automatismi, a cui ricorrere quando risulti in concreto l’unica misura adeguata. Il problema va affrontato in connessione alla ragionevole durata del processo e, soprattutto,  la custodia cautelare non deve valere come anticipazione della pena definitiva”.

La lentezza della giustizia civile grava pesantemente sulla nostra economia. Cosa si può fare da subito?

Bisogna razionalizzare risorse umane e strumentali. Riformare la geografia giudiziaria, per creare uffici efficienti, dove sia garantita la specializzazione dei magistrati e del personale. Introdurre il processo telematico in tutti i tribunali del Paese. Smaltire l’arretrato e snellire il processo civile inserendo figure come l’assistente del giudice. Una misura che darebbe lavoro a  giovani laureati. E poi, incentivare la mediazione volontaria e quella obbligatoria, limitando quest’ultima  solo ad  alcuni tipi di cause.

In definitiva, questa legislatura è o no un’occasione per pacificare il Paese anche sui temi della giustizia?

Più che di pacificazione parlerei di responsabilità. E’ un’occasione importante  per affrontare riforme della giustizia serie e condivise, rinviate da troppo tempo. Soprattutto in un periodo di crisi, abbiamo l’obbligo di lavorare per rendere la giustizia più efficiente.  Lo dobbiamo ai cittadini e alle imprese.


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