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Chi fa parte del neonato Club delle Rinnovabili

Il Gruppo dei 10 nacque nel 1962 e nel 1971 firmò lo Smithsonian Agreement, che mise fine agli accordi di Bretton Woods rimpiazzando il sistema a cambi fissi verso il dollaro con un sistema a cambi flessibili governato dal mercato.

50 anni dopo nasce l’R10, il Club delle Rinnovabili. Sotto la guida dell’International Renewable, Energy Agency, il primo giugno i rappresentanti di Cina, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, India, Marocco, Sud Africa, Tonga e Uk si sono riuniti a Berlino su invito del ministro tedesco per l’ambiente, Peter Altmaier, per dare vita a un’importante iniziativa politica che ha come obiettivo primario la trasformazione del sistema energetico mondiale attraverso le energie rinnovabili.

Gli aderenti concordano nel porre le rinnovabili in cima alle rispettive agende politiche, e di sostenere il loro sviluppo a livello globale attraverso iniziative divulgative come quella prevista in occasione della prossima “Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite” dove il Club presenterà un documento congiunto delle rinnovabili sui vantaggi per il clima e lo sviluppo sostenibile. Gli R10 non si limiteranno solo ad informare, ma intendono sostenere progetti concreti che favoriscano la trasformazione del sistema elettrico globale in chiave sostenibile.

Pur non imponendosi obiettivi formali e quantitativi in termini di limiti alle emissioni e quote di produzione, gli R10 mettono in campo un’iniziativa politica molto importante. Innanzitutto perché 10 Paesi che con quasi 3 miliardi di abitanti complessivi rappresentano il 40% della popolazione mondiale, e con 19 triliardi di dollari il 27% del Pil mondiale, scelgono di collocarsi alla frontiera della rivoluzione energetica in atto, confermando una leadership maturata con gli investimenti dello scorso anno nelle rinnovabili pari al 40% del volume globale. Ma soprattutto perché il Club nasce nel momento in cui la guerra tra fossili e rinnovabili è al suo momento cruciale, ora che azzerati gli incentivi alle rinnovabili la battaglia si è spostata sull’analisi di costi e benefici dei due sistemi produttivi.

Il Club risente certo dell’assenza degli Stati Uniti e del Giappone, i primi impegnati nel dibattito di contrapposizione tra “green” e “shale”, il secondo nella decisione cruciale di phase-out dal nucleare (che la Germania ha già adottato lo scorso anno), ma include economie leader nelle tecnologie, nell’innovazione e nelle politiche volte all’efficienza e alle rinnovabili. E benché sia probabile che inizialmente non susciterà grande clamore, ambisce a diventare un’istituzione internazionale rilevante ed in grado di incidere sulle politiche energetiche globali.

Ci si chiede come un Paese come il nostro, primo mercato mondiale per il fotovoltaico lo scorso anno, leader nelle smart grid con il 50% dei contatori installati al mondo, che si approvvigiona all’estero per oltre il 75% del proprio fabbisogno energetico globale e con una disperata necessità di attirare investimenti esteri, possa restare fuori.


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