Si dice: “La storia non si fa con i se”. Non tanto in omaggio a una concezione deterministica o teleologica, ma perché tutto può cambiare da un momento all’altro, spinto dal caso. La morte di Giuseppe Rotelli ha rovesciato in men che non si dica le sorti del Corriere della Sera, portando nelle mani di John Elkann i diritti che l’imprenditore aveva ceduto sapendo di non poterli più esercitare. Tutto ciò è avvenuto con il consenso di Giovanni Bazoli che di Rotelli è stato amico e sostenitore. Se le scosse della vita fossero state diverse, quella coppia avrebbe avuto un ruolo chiave nel Corriere della sera, facendo da cuscinetto tra i duellanti: Elkann da un alto e Diego Della Valle dall’altro. Con Mediobanca in procinto di sfilarsi. Adesso, gli equilibri sono cambiati in modo netto. Bazoli ne ha preso atto, così come Alberto Nagel che già un anno fa aveva schierato la banca d’affari al fianco della Fiat.
Con Rotelli scompare una figura per certi versi anomala nel capitalismo italiano, o meglio nel capitalismo di questa Italia. Perché non c’è dubbio che l’imprenditore milanese stroncato a 68 anni da un cancro contro il quale lottava da tempo, aveva tutte le caratteristiche di un uomo d’altri tempi. Colto, discreto fino al punto da essere considerato modesto, liberale (e anche questa è una eccezione tra gli attuali padroni del vapore), con una passione per l’editoria che non è riuscito a realizzare, e un destino, anzi un dovere familiare, che ha portato a termine fino all’ultimo.
Serio e compassato, s’è sempre definito “un intellettuale che fa l’imprenditore”. Giurista per studi e vocazione, aveva chiamato Pandette (come il Corpus iuris di Giustiniano) la holding finanziaria nella quale custodiva il 16,55% del Corriere della Sera, quota che ne faceva il primo singolo azionista. Sobrio nell’aspetto, timido nel comportamento, eppure ricco di famiglia, faceva sfoggio solo della collezione di quadri milanesi del ‘600-‘700 e di una barca a motore a Montecarlo voluta dalla moglie e dai figli. Allievo di Bruno Leoni al cui istituto diretto da Alberto Mingardi è stato culturalmente vicino, aveva mosso i primi passi nella regione e nella politica, sia pur come tecnico.
Con l’acquisto del San Raffaele, portato in bancarotta dal suo fondatore don Verzè, Rotelli era diventa bon gré mal gré Sua Sanità. E dire che si occupava di cliniche e ospedali fin da quando a 27 anni, era entrato a far parte dell’ufficio legale della giunta regionale lombarda chiamato dal democristiano Piero Bassetti, per lavorare al primo piano sanitario che debutta sulla carta nel 1984.
Giuseppe Rotelli era nato a Pavia il 30 marzo del 1945. Il nonno materno, Marco Sacchi, era proprietario degli Zuccherifici meridionali. Il padre aveva scelto la chirurgia e nel 1957, con i soldi del suocero, aveva fondato l’Istituto di cura Città di Pavia. Nel 1969 il grande salto a Milano con il Policlinico San Donato. Nel 1980 Roberto Calvi cercava soldi e soci per espandere il suo Banco Ambrosiano e l’avvocato Giuseppe Prisco, detto Peppino, astuto e flamboyant, diventato principe del Foro a Milano nonché factotum dell’Inter pigliatutto nella prima era Moratti, convinse anche il professor Rotelli a entrare nella non proprio allegra brigata, finché non arriva il crac.
Nel 1982, con il processo per bancarotta, Luigi Rotelli finisce sul banco degli accusati, lascia tutto al figlio e trascorre dieci anni di angoscia finché non muore prima che la sentenza venga pronunciata. Il trauma avvia una metamorfosi anche nel carattere, non solo nelle scelte di Giuseppe. Le conoscenze acquisite sul campo, l’esperienza in regione, i legami che intreccia (sono gli anni del craxismo, ma la Lombardia è sempre stata in mano ai cattolici, a cominciare proprio dalla sanità) anche se si tiene lontano da frequentazioni politiche dirette, ne fanno un punto di riferimento, consulente di ministri, presidente dell’Istituto per la scienza dell’amministrazione, ordinario di organizzazione e legislazione sanitaria alla Università statale di Milano, il professore mette insieme un gruppo con ben 18 ospedali che ne fanno il numero uno in Italia. Prende quel che trova, ma solo se è funzionale al suo disegno. L’eccezione forse è la clinica La Madonnina acquistata da Salvatore Ligresti, dove adesso Rotelli ha il suo studio.
Intanto, coltiva anche le proprie inclinazioni intellettuali. A parte l’IBL c’è la fondazione David Hume di Luca Ricolfi e Piero Ostellino. Apprezza la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Finanzia la Voce di Indro Montanelli e nel 2004 pensa di fondare un quotidiano pomeridiano gratuito di orientamento liberale chiamato Il Caffè. La passione per la carta stampata, lo porta invece a via Solferino. Per la prima volta vi fa ingresso negli anni ’70 con un articolo sulla sanità. Vedendo che non viene pubblicato, chiama il vice direttore Gaspare Barbiellini Amidei che lo invita a visitare il giornale. Un colpo di fulmine. E, non appena capita l’occasione, torna ma non dalla porta posteriore.
Nel 2006 dichiara già di voler investire in Rcs. E’ finita da un anno la scalata dei “furbetti del quartierino”, azioni sul mercato ce ne sono ben poche, due terzi stanno nel patto di sindacato le altre bruciano le dita di chi ha osato toccare il Corriere. Stefano Ricucci ha girato gran parte dei suoi titoli al Banco Popolare che ha assorbito la Bpi di Gianpiero Fiorani. Il nuovo istituto è guidato da Pier Francesco Saviotti, buon amico di Rotelli fin da quando era alla Banca Commerciale. Da lui ottiene un’opzione di compravendita pari al 3,4 per cento.
Da lì comincia Rotelli a salire sotto l’occhio attento e benevolo di Bazoli. Banca Intesa ha fornito una fideiussione per il 20% della quota del San Raffaele (il resto proviene da altre tre banche). E si è stretto così un legame ancor più forte. Tra loro c’era un comun sentire, dicono fonti vicine. Senza dimenticare che la moglie di Rotelli, Gilla Castaldi (sua allieva all’università, in un certo senso un amore sbocciato sui banchi di scuola) proviene da una famiglia bene bresciana, la terra di Bazoli. Un Corriere nel quale entrambi fossero stati arbitri sarebbe stato ancor più l’equilibrato organo della borghesia lombarda, tenendo a bada sia l’irruenza di un imprenditore autentico, ma di altra schiatta come Della Valle, oppure le mire dell’erede Agnelli che, sistemata la Fiat (almeno questo è il progetto perché la storia non è scritta in anticipo, tanto meno in affari come questo), scopre la passione per l’editoria.
Le cose sono andate altrimenti. Elkann ha vinto e si vedrà quali sono i suoi progetti, forse coinvolgerà Rupert Murdoch nella sistemazione della Rcs (il presidente della Fiat siede nel consiglio di News Corporation), forse il gruppo editoriale verrà diviso e in parte venduto, forse Della Valle (che resta azionista importante con quasi il 9%) si prenderà la Gazzetta dello Sport come dicono alcuni. Sarà quel che il caso e l’audacia vorranno.