Tutti quelli che si preoccupano dello stato di salute delle banche, avranno un soprassalto d’ansia scoprendo che accanto al sistema ufficiale, oggetto di cotanta attenzione e regolamentazione, cresce nell’ombra un sistema “parallelo” di entità che, pur non essendo banche, si comportano come tali. Ossia aumentano il volume di credito/debito nel mondo, senza esser soggette ai controlli del circuito bancario tradizionale.
Queste entità, che la letteratura economica ha chiamato Shadow Banking, hanno finito col diventare uno dei più grandi rischi sistemici del sistema finanziario internazionale, che ne ha patito la terribile influenza durante la grande crisi del 2008, quando le banche “parallele” furono travolte dall’ondata di sfiducia partita dai mutui subprime, che le Banche-ombra avevano contribuito non poco ad alimentare.
Da allora queste istituzioni sono finite sotto la lente d’ingradimento di alcune autorità, a cominciare dal FSB, il Financial stability board, che per primo le ha classificate come “entità fuori dal sistema bancario regolato che svolgono funzioni tipiche del sistema bancario, ossia l’intermediazione creditizia”. Di recente se n’è occupato anche il Fondo monetario internazionale, che ha dedicato un interessante articolo al tema.
Prima di andare avanti servono alcune premesse per capire cosa si intenda per intermediazione creditizia.
Nella definizione dell’FSB, tale attività si estrinseca in quattro funzioni:
1) Maturity transformation, ossia l’ottenimento di fondi a breve termine che vengono investiti in asset a lungo termine;
2) Liquidity transformation, vale a dire trasformazioni di liquidità, come i passivi di cassa, per acquistare asset da vendere, come i prestiti;
3) Leverage, ossia l’utilizzo di tecniche che amplificano (nei guadagni come nelle perdite) gli effetti degli investimenti;
4) Credit risk transfer, vale a dire la possibilità di distribuire il rischio degli investimenti a soggetti diversi da se stessi. Tipico il caso degli Abs, di cui abbiamo già parlato.
Stante questa definizione, viene fuori che le banche non sono le sole a svolgere questo coacervo di attività. Tutt’altro. Nel tempo sono sorte altre istituzioni, molto spesso espressione delle stesse banche, che hanno svolto intermediazione creditizia al di fuori del circuito ufficiale, col risultato di innalzare in maniera significativa il livello generale del credito/debito nel circuito finanziario. E quindi del rischio.
Fra queste entità spiccano alcuni fondi di investimento che hanno costituito pool di investitori che hanno iniziato ad agire nei circuiti della carta commerciale e degli MBS al fine di aumentare la quantità di credito a disposizione delle famiglie.
Il problema è che finché va tutto bene non c’è problema. E che dopo è troppo tardi.
Quando c’è stata la gelata del credito, queste entità hanno contribuito non poco al credit crunch, visto che hanno iniziato a vendere asset per rientrare dalle loro esposizioni. E lo hanno fatto in un contesto che ancora ignorava il loro peso relativo e quindi la magnitudo del loro effetto sistemico.
La conseguenza è che si è avvitata una spirale ribassista che ha messo fuori mercato, rendoli illiquidi, una mole di strumenti finanziari custoditi nelle pance delle banche “normali”.
Da qui la catastrofe vissuta negli anni scorsi, aggravata dalla circostanza che non si disponesse di informazioni né sulla consistema dello shadow-banking, né trasparenza sugli assetti proprietari.
Molte banche, che possedevano o alimentavano questi strumenti, si sono limitati a ingoiare le perdite che hanno provocato senza fare troppa pubblicità, per le solite questioni di credibilità.
Il problema si ripropone oggi.
Le analisi che dal 2008 in poi si sono sviluppate attorno a queste entità confermano che, dopo il “raffreddamento” vissuto fra il 2008 e il 2010, tale pratica si sta sviluppando persino più di prima.
Negli Stati Uniti, scrive il Fmi, lo shadow banking copre una quota rilevante del sistema finanziario, pure se è calato dal 44% del pre-crisi al 35% di oggi.
Per dare un’idea delle risorse che muovono queste banche-ombra, basti considerare che nel periodo di picco, ossia nel 2007, facevano circolare 62 trilioni di dollari (62.000 miliardi).
La crisi ha fatto declinare ad “appena” 59 trilioni questa montagna di asset, ma già nel 2011 l’importo era di nuovo risalito oltre il picco del 2007, ossia a 67 trilioni di dollari.
A livello globale, stima il FSB, lo shadow-banking, fra il 2009 e il 2011, ha pesato almeno il 25% dell’intermediazione creditizia, a fronte del 27% raggiunto nel 2007.
“Il vero rischio di queste attività – sottolinea il Fmi – e che è ancora indetermiato se sono sistemicamente importanti”.
Insomma, sappiamo che l’ombra delle banche-ombra si allunga sempre più su di noi. Ma non sappiamo nient’altro.
Salvo che sono pericolose.