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Siria, Afghanistan e Stati Uniti. Le tensioni analizzate da De Michelis

Quando si parla con Gianni De Michelis, ex ministro degli Affari esteri e presidente dell’Istituto per le relazioni dell’Italia e i paesi dell’Africa, America latina e Medio Oriente (Ipalmo) il mondo diventa una cartina geografica con fili interconnessi. Ogni avvenimento trova una causa che è collegata ad un altro estremo della mappa. La nuova configurazione geopolitica globale spiega molto di quanto sta accadendo.

Le manifestazioni in Brasile, le rivolte in Turchia, l’indebolimento del presidente Barack Obama e della leadership americana sono alcuni dei fenomeni che riescono ad essere decifrati meglio se si pensa il mondo da una prospettiva multipolare. Sono lontani i tempi del bipolarismo della Guerra fredda. Oggi il mondo risponde a dinamiche diverse e in quell’assestamento ci sono non poche scosse.

In un’intervista con Formiche.net, De Michelis spiega il significato (diverso ma con cause comuni) delle proteste in Brasile e in Turchia. Ma anche lo stato della guerra in Siria e le prospettive di dialogo in Afghanistan.

Il regime di Bashar al-Assad è all’offensiva per la conquista strategica di Aleppo. Cosa può succedere? Si può restare ottimisti per i risultati del vertice di Ginevra 2?

Sicuramente in questa fase gli equilibri sono a favore di Assad. Principalmente per il ruolo di Vladimir Putin nel G8, dove è riuscito a non citare Assad, lasciando aperte le prospettive di Ginevra 2 e la possibilità di coinvolgere sia gli alleati del regime (gli iraniani e Hezbollah) così come i ribelli. Importante è la dichiarazione dei cinesi, che hanno detto che alla fine la decisione sarà presa durante le elezioni del 2014. Assad è stato anche aiutato dalla debolezza della Turchia, a causa dei problemi interni del premier Erdogan. Per controbilanciare la situazione, l’Egitto di Morsi e i Fratelli Musulmani hanno offerto appoggio ai ribelli.

L’aiuto di Obama ai ribelli potrebbe cambiare la situazione?

Dall’esito del G8 si può dedurre che Obama non ha ancora deciso se e come sostenere (soprattutto militarmente) i ribelli siriani.

Dall’Afghanistan è arrivata la notizia della riattivazione dei dialoghi, ma il giorno dopo il presidente Hamid Karzai ha detto che si fermavano di nuovo. Si può avere fiducia in un nuovo processo di pace?

Le nostre informazioni sono limitate. Karzai ha reagito duramente alla notizia di dialoghi diretti tra gli Stati Uniti e i talebani. Gli afghani intendono fare questo percorso da soli. Con le regole che imporrano direttamente loro, non gli Stati Uniti.

Si parla di una discesa della popolarità di Obama negli Stati Uniti. Il presidente ha deluso gli americani?

Non credo che si tratti del personaggio, ma del ruolo dell’America nel nuovo quadro geopolitico globale. Gli Usa sono diversi da quello che erano. La situazione economica interna e il ruolo di potenza globale hanno indebolito in modo reale la leadership. Ma questo dipende soprattutto dalla nuova configurazione del mondo multipolare. Il mondo non è più quello che rispondeva alle forze bipolare ai tempi della Guerra Fredda.

Cosa significano le proteste in Brasile e in Turchia? E c’è il rischio che scoppino altre manifestazioni simili?

Anche queste manifestazioni dipendono dalla nuova configurazione del mondo multipolare. Si aggiungono le tensioni sociali ed economiche che fanno sempre più pressione su governi e regimi. Le ragioni sono diverse: in Brasile si protesta per l’eccessivo sforzo per organizzare i Mondiali di calcio e le Olimpiadi; in Turchia per il tentativo di trasformare gli equilibri della politica turca in un meccanismo simile alla Russia di Putin. Potrebbero esplodere situazioni simili nei cosiddetti Brics. In Russia e in India l’anno prossimo, dopo le elezioni.



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