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Turchia: è la fine dell’era di Erdogan?

Pubblichiamo un articolo del dossier “Turchia in fiamme, Iran al voto, enigma cinese di Obama” di Affari Internazionali

La Turchia è spesso descritta come un polo economico con una politica estera (iper)attiva, reso possibile dalla stabilità politica assicurata dai tre mandati consecutivi del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp). Critiche non mancano tuttavia ai limiti delle riforme messe in atto dal governo, sempre più lontane dall’agenda europea, e alle aspirazioni egemoniche del paese a livello regionale.
In questo scenario le pacifiche proteste in piazza Taksim, a Istanbul, hanno colto di sorpresa l’opinione pubblica internazionale. La stabilità politica della Turchia vacilla? L’indiscutibile primato dell’Akp potrà essere messo in crisi dalla crescente ondata di dissensi? “Erdogan è davvero finito?” si domanda infine Judy Dempsey, del think tank Carnegie Europe.

Dissenso crescente

Come molti analisti non hanno mancato di osservare, le proteste di Istanbul avevano poco a che vedere con la demolizione del piccolo parco Gezi in piazza Taksim per la costruzione di un maxi-centro commerciale. Con il violento intervento delle forze di polizia e l’uso massiccio di gas lacrimogeni sulla folla, le proteste si sono presto diffuse in tutto il paese.

I laici sono insorti contro l’adozione di una legge che restringe severamente il consumo di alcolici, giustificata dal primo ministro con l’esplicito riferimento a versetti coranici. Gli alevi, le cui già tese relazioni con il governo sono messe a dura prova dalla crisi siriana – e dalle recenti bombe sul confine, a Reyhanlı –, sono scesi in piazza contro la decisione del governo di dare al terzo ponte sul Bosforo il nome di “Selim il crudele”, sultano Ottomano mandante dei massacri dei musulmani alevi.

Ambientalisti e cittadini protestano contro l’incontrollata speculazione edilizia dell’Akp, deciso a spazzare via i pochi angoli verdi della città e ad erigere l’ennesimo centro commerciale nella vecchia sede del più antico cinema turco.

Al di là dei contenuti, ciò che ha unito i manifestanti che si sono presto mobilitati in tutto il paese è la crescente opposizione a una gestione del potere sempre più autoritaria del primo ministro. L’opposizione ad una concezione della democrazia fortemente maggioritaria e il dissenso verso una leadership gerarchica e accentrata hanno portato decine di migliaia di manifestanti nelle piazze turche. L’altro lato della medaglia è la crescente frustrazione verso l’inefficace opposizione del Partito popolare repubblicano (Chp), incapace di condurre importanti battaglie parlamentari.

Leggi qui l’articolo completo

Nathalie Tocci è vice direttore dell’Istituto Affari Internazionali.

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