“Questa volta la tracotanza di Erdogan lo ha indotto in errore. Lo scontro sul parco si è trasformato in un regolamento di conti su altre questioni: il divieto sull’alcol, le pressioni sulle università, la repressione della libertà di espressione e in generale l’arroganza con cui gli islamici si sono imposti pensando che il paese appartenesse soltanto a loro”. Così apre oggi un editoriale del quotidiano tedesco Die Tageszeitung. Le proteste, iniziate a piazza Taksim, non sono soltanto una manifestazione a favore degli alberi del parco Gezi, ma rivelano un malessere più profondo: lo scontento verso il premier Recep Tayyip Erdogan.
La spinta verso Oriente
La rivolta non è maturata da un giorno all’altro. È dal 2002, quando il leader dell’Akp (partito islamico Giustizia e Sviluppo) è salito al potere, che si vende come un “islamico-moderato”. L’etichetta è stata accettata dagli Stati Uniti e dall’Europa, ma poi sono seguite una serie di virate su principi musulmani che hanno scaldato gli animi di un paese che non voleva essere spinto verso il Medio Oriente. I pericoli di questa “islamizzazione” dello Stato e della società, alla quale i turchi si stanno ribellando, è stata velata dalla crescita economica della Turchia.
Le colpe dell’Europa
In un articolo pubblicato sul Corriere della sera, il professore di Economia Francesco Giavazzi, ha detto che “la decisione di Bruxelles di non lasciar entrare Ankara nell’Unione europea o di rallentarne il processo di adesione ha messo la Turchia sulla strada dell’Islam radicale”. Riferisce la testimonianza di un ragazzo che gli ha detto: “se diventiamo come l’Iran sarete voi i responsabili, se ci aveste lasciato entrare nella Ue oggi saremmo un altro paese”.
La provocazione di confrontare la Turchia con l’Iran non è esagerata. Nella Turchia di Erdogan è stato proibito l’alcol, censurato internet. Vietato persino il rossetto rosso per le hostess della Turkish Airlines.
Erdogan vs i social-network
La Turchia è il secondo paese, dopo la Russia, dove ci sono più giornalisti dietro alle sbarre. In più, qualche anno fa Erdogan ha decapitato i vertici militari, accusati dell’operazione Balyoz, un colpo di Stato che non è mai avvenuto. Come ricorda la giornalista Anna Mazzone in un articolo pubblicato su Panorama.it, c’è anche il “processo-mostro Ergenekon, che vede alla sbarra decine e decine di intellettuali, artisti, giornalisti e docenti universitari accusati di complottare per sovvertire lo Stato. La maggior parte di loro denuncia l’assenza totale di prove, ma intanto sono chiusi in cella”.
Una delle fissazioni di Erdogan sono i social network. Oggi, dopo le proteste, il premier ha dato la colpa a Twitter, piattaforma dove i manifestanti si sono organizzati per protestare al parco di Gezi.
Secondo Erdogan, questi strumenti sono una “minaccia per la democrazia e la società”. Non a caso il suo governo ha bandito mesi fa alcuni siti internet, l’acceso a diversi social network e a YouTube.
Questa però non è una Primavera turca, perché in Turchia l’anno prossimo ci saranno le elezioni. E molto probabilmente, in elezioni democratiche, Erdogan non sarà rieletto. Senza più morti in piazza.