Durante la realizzazione di Zero Dark Thirty non furono rivelate agli autori informazioni sensibili su tecniche e tattiche usate nelle operazioni speciali statunitensi.
Il rapporto sulla collaborazione tra l’amministrazione statunitense e gli autori del film sull’uccisione di Osama bin Laden non ha però lasciato tutti convinti. Rispetto a una bozza circolata la settimana scorsa, sono state omesse le parti in cui si spiegava come nel 2011, l’allora direttore della Cia, Leon Panetta, rivelò durante un discorso all’agenzia il nome del comandante del raid che portò alla morte dello sceicco saudita scovato in Pakistan a maggio dello stesso anno. Un’informazione che per le leggi federali sarebbe dovuta restare segreta.
Resta fuori anche l’episodio che coinvolge Michael Vickers, sottosegretario per l’Intelligence, che ugualmente rivelò il nome della mente dell’operazione. Il documento fa invece riferimento a un’altra cerimonia, quella cui parteciparono i componenti della squadra che portò a termine la missione, in uniforme e nome sulla targhetta, ma soprattutto alla presenza di Mark Boal, uno degli autori della pellicola diretta da Kathryn Bigelow.
Boal non sarebbe dovuto essere presente all’appuntamento perché mantenere segreta l’identità dei membri dei Seal era ed è di priorità massima. Tuttavia si legge nel rapporto: “Siamo stati incapaci di prendere misure precauzionali per proteggere l’identità degli operatori che parteciparono all’appuntamento”.
Non soltanto, la partecipazione di Boal era nota allo staff del Pentangono, tuttavia la notizia non arrivò mai all’ammiraglio William McRaven, a capo del Comando per le operazioni speciali, che dice di essere rimasto stupito quando gli fu presentato l’autore.
Il documento dell’ispettorato generale è stato commissionato in risposta all’interrogazione del repubblicano Peter King. L’opposizione ha avanzato l’ipotesi che con il film la Casa Bianca abbia rivelato informazioni confidenziali per un tornaconto politico. Nonostante le polemiche delle scene che mostrano le torture sui prigionieri arabi, il film, ricorda Foreign Policy, fu una perfetta campagna d’immagine per mostrare i risultati dell’amministrazione. Anche per questo l’opposizione era intenzionata a sapere se ci fossero state pressioni sul Pentagono affinché collaborasse con la produzione.
Dal canto suo Boal ha subito anche critiche da sinistra. È il caso di un articolo su The Nation nel quale si ricorda la carriera da giornalista d’inchiesta dell’autore, capace di indagare sulla risposta statunitense agli attachi dell’11 settembre o sulle azioni delle truppe Usa in Afghanistan, e si chiede se non sia per caso diventato un insider capace di avere informazioni riservate.
Il rapporto chierisce le trattative sui modi della collaborazione con Boal e Bigelow. In particolare si sottolineano le perplessità dei funzionari che ritenevano fossero già trapelate troppe informazioni sulle operazioni e quelle di chi ricordava la rappresentazione della vita militare fatta dai due autori nel film premio Oscar The Hurt Locker.