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Abu Omar, De Sousa rompe il silenzio della Cia

La parola chiave è “capro espiatorio”. Sabrina De Sousa è la prima a rompere il silenzio tra i 23 agenti della Cia condannati per il sequestro dell’imam egiziano Abu Omar a Milano. In una serie di interviste a McClatchy per la prima volta De Sousa accusa Stati Uniti e Italia di aver collaborato per “trasformare in capri espiatori un gruppo di persone…mentre coloro i quali approvarono questa stupida rendition sono tutti liberi”. Nel 2002 la donna lavora come interprete con i servizi segreti italiani, è già un’agente della Cia, da cui sarà costretta a dimettersi nel 2009.

Le dichiarazioni di De Sousa (condannata a sette anni di carcere in via definitiva dalla giustizia italiana) consentono, a distanza di dieci anni dai fatti, di gettare luce su una vicenda, su cui finora è prevalsa una coltre di silenzio e connivenza. “Il regista dell’operazione fu Castelli (capocentro della Cia a Roma, ndr), che esagerò la minaccia terroristica di Abu Omar e mentì sull’avallo dell’intelligence italiana per ottenere l’approvazione”. Il verbo usato da De Sousa è “mislead”, inequivocabile. Dell’operazione non era convinto Seldon Lady, capocentro della Cia a Milano, così come i vertici di Langley, ma Castelli era determinato a portarla a termine, voleva usarla come biglietto per una promozione. A tal fine, il capocentro americano esercitò forti pressioni sul capo del Sismi Nicolò Pollari, ma senza successo. “Pollari si rifiutò di cooperare spiegando che era una operazione illegale a meno che i magistrati non l’avessero approvata”. In assenza di un’autorizzazione scritta da parte del Sismi, Castelli raccontò di aver ottenuto quantomeno “una sorta di tacita approvazione”. Insomma, un’espressione del volto compiacente per come la descrive Castelli. Il che potrebbe lasciare indifferenti, se non fosse che per i magistrati di Milano è valsa a fondamento di una condanna alla galera.

Dunque, nessuna autorizzazione da parte del Sismi. Ed ecco allora che emerge sul versante italiano l’altro capro espiatorio, Nicolò Pollari. Per il generale, a capo dell’intelligence italiana dal 2001 al 2006, la condanna a dieci anni di carcere non è ancora definitiva. Va ricordato che dopo due proscioglimenti in primo e in secondo grado, Pollari viene condannato nel processo di appello bis, nel corso del quale, in spregio ad una precisa pronuncia della Corte costituzionale, vengono utilizzati in modo frammentario e senza controesame materiali coperti dal segreto di Stato. Come se non bastasse, all’imputato Pollari viene di fatto inibita qualunque possibilità di difesa: non vengono ammessi i testimoni a discarico, e tre diverse compagini governative – Berlusconi, Prodi, Monti – oppongono il segreto di Stato impedendogli di spiegare e raccontare la sua versione dei fatti. Omissis.

In “Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari” (Mondadori, 2013, prefazione di Edward Luttwak) abbiamo fornito l’unica ricostruzione della vicenda libera dalla subalternità procuraiola, fondata su carte e testimonianze inedite, dalle quali, con qualche mese di anticipo rispetto all’intervista di De Sousa, si riscontrano due elementi fondamentali: Abu Omar non era affatto un pericoloso terrorista (e scavando nel suo passato si scopre il ruolo del “doppiogiochista”); il Sismi guidato da Pollari non solo non autorizzò l’operazione, ma vi si oppose attraverso i canali istituzionali previsti. Gli 88 documenti classificati, che Pollari ha menzionato a più riprese, lo scagionerebbero una volta per tutte. Invece da diversi anni la vita di un fedele servitore dello Stato, che continua ad obbedire solennemente al suo governo, è incastrata nelle maglie di un processo penale, che rimane un unicum a livello mondiale e in cui si mescolano alcune patologie tutte italiane: l’ipertrofia di una giurisdizione onnivora, l’antiamericanismo ideologico, l’antiberlusconismo militante. E nel fuoco incrociato di un caso, che non sarebbe mai dovuto nascere, è stato squadernato un intero sistema di sicurezza, delle cui falle attuali l’affare kazako è soltanto, in ordine di tempo, la spia più recente.

Per alcuni non basteranno le parole di De Sousa o le carte presenti in “Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari” per arrendersi ad alcuni dati di fatto. La Digos sapeva tutto di Abu Omar; il capocentro milanese della Cia teneva rapporti quotidiani con alcuni membri della Digos; dalle intercettazioni e dai pedinamenti non emerge nessuna traccia del contributo del Sismi. Per alcuni non bastano i fatti, ma contano soltanto le opinioni dispensate a cuor leggero dalle colonne di un roboante quotidiano. Spariamo contro Berlusconi amico di Bush, Pollari servo di Berlusconi, gli Stati Uniti cattivi e assassini. Che poi, resta da chiedersi che fine abbiano fatto i pacifisti girotondini, attuali desaparecidos. Chissà se qualcuno ogni tanto si domanda se per la non casuale “eccezione italiana” alle stragi terroristiche, che dall’11 settembre in poi hanno maciullato migliaia di corpi innocenti anche in Paesi a noi vicini, ecco, qualche riconoscimento forse lo dobbiamo anche a loro. Non è che in Italia non abbiano tentato. Hanno tentato e hanno fallito. Grazie a Nicolò Pollari.

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