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Albert Camus, quella accidentata ricerca della verità

Dopo aver scritto L’uomo in rivolta (L’homme révolté), Albert Camus si vide togliere bruscamente il saluto da Jean-Paul Sartre perché nel libro vi era condannato senza riguardi il totalitarismo comunista. Questo saggio, pubblicato nel 1951 per Gallimard, ad avviso di molti critici ed osservatori rappresenta il testo teorico con la più rigorosa formulazione dell’idea di Rivoluzione scritto dall’autore franco-algerino. Vi veniva ad esempio asserito chiaramente il concetto per cui senza un valore che la trasfiguri, la storia rimane soggetta alla legge dell’efficacia e della potenza. I nuovi filosofi di cui parlava Nietzsche, infatti, e che hanno incarnato il XX secolo, procedono solamente con il loro volere a creare i valori: «Essi comandano e legiferano, affermando: “Così deve essere!“… La loro volontà di verità è volontà di potenza» (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano 1988, pp. 119 e ss.).

In ogni sistema totalitario il diritto e la giustizia non si configurano come mezzi con cui gli uomini cercano di dare voce a un criterio obiettivo, commisurato alla realtà dei rapporti umani, ma semplicemente quali prodotti di una volontà che stabilisce che cosa è diritto e che cosa è giustizia. Ne L’homme revolté Camus analizzava la crisi della società in pieno secolo delle ideologie, focalizzandola appunto su tale volontà di potenza e rileggendo alla luce di una filosofia della storia realista gli aspetti di fondo della “nuova società” comunista. Nel nuovo libro dell’italianista della Sorbona François Livi, che sta per uscire per la Casa Editrice Leonardo da Vinci, intitolato Albert Camus: alla ricerca della verità dell’uomo, viene raccolto appunto il messaggio filosofico del celebre pensatore esistenzialista francese, premio Nobel per la letteratura, analizzando tutte le sue opere di narrativa, di teatro e di saggistica (collana “La filosofia nella letteratura”, n. 2, Roma 2013, euro 23,00, acquisti@editriceleonardo.net).

Livi non dimentica certo che, come ha commentato recentemente il Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, in occasione di un incontro con i sacerdoti dell’arcidiocesi di Los Angeles, «Se volessimo interrogare la cultura più diffusa, ci accorgeremmo che essa è dominata e impregnata dal dubbio sistematico e dal sospetto verso tutto ciò che riguarda la fede, la ragione, la religione, la legge naturale. “Dio è una inutile ipotesi – ha scritto Camus – e sono perfettamente sicuro che non mi interessa”. Nella migliore delle ipotesi, cala un pesante silenzio su Dio; ma si arriva spesso all’affermazione dell’insanabile conflitto delle due esistenze destinate ad eliminarsi: o Dio, o l’uomo» (Card. Mauro Piacenza, Il sacerdote nel secolo XXI, in Zenit, 3 ottobre 2011).

Lo stesso filosofo che dà lezioni di agnosticismo, è però capace di spiegare mirabilmente che «non essere amati è una semplice sfortuna, ma la vera disgrazia è non amare».

Il prof. Livi, dell’Università La Sorbona di Parigi, è il più autorevole italianista francese, specialista di studi sul primo Novecento, già autore negli anni 1970 di un saggio di critica letteraria su Camus, pubblicato dalla Nuova Italia di Firenze. Per la stessa casa editrice diretta dal fratello mons. Antonio Livi, già decano della facoltà di Filosofia dell’università lateranense, Livi ha pubblicato un saggio di interpretazione teologica sulla Divina Commedia intitolato Dante e la teologia (collana “ermeneutica teologica”, n. 3, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2010, euro 20,00). Recentemente ha anche pubblicato in francese un voluminoso saggio intitolato Italica (L’Age d’Homme, Paris 2012), dove passa in rassegna le principali figure della letteratura italiana, da Dante a Eugenio Corti.


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