Il 5 luglio Papa Francesco ha firmato il decreto di approvazione della delibera della Congregazione delle Cause dei Santi che consentirà a breve la canonizzazione del beato Giovanni XXIII (1958-1963), il Papa che convocò il Concilio Vaticano II nel 1959 (il testo si può leggere sul sito della Santa Sede). Si tratta di un importante riconoscimento che, a mio avviso, non a caso è approvato in questi giorni, nei quali ricorre oltre al cinquantesimo anniversario della sua morte (3 giugno 1963), anche quello della pubblicazione della sua fondamentale enciclica “Pacem in terris”, avvenuta l’11 aprile 1963. In questo modo, oltre a perpetuarne i dolciastri aneddoti sul Papa buono, sarà possibile valorizzare il Magistero di Papa Roncalli, soprattutto provenienti da questa sua ultima enciclica, spesso fraintesa o strumentalizzata, ma molto interessante per vari suoi aspetti.
L’“ottimismo razionale” della Pacem in terris, alla luce della storia
Cominciamo col dire, come è stato rilevato anche in un recente convegno, che la “Pacem in terris” è un documento notevolmente intriso da un “ottimismo razionale”, poco giustificabile e giustificato alla luce della temperie storica della “guerra fredda” nella quale venne scritto, nonché dello sviluppo progressivo di quell’Impero del Male sovietico che, per vent’anni ancora, avrebbe mietuto sangue e dolore di martiri ed innocenti. E lo stesso Impero cerca infatti di “appropriarsi” dell’enciclica, dato che subito dopo la sua pubblicazione l’agenzia di stampa sovietica Tass ne pubblica una sintesi “orientata” commentandone quasi esclusivamente i passi dedicati al disarmo.
Nel corso dell’intera enciclica, il Papa esprime la propria simpatia e l’accoglienza della Chiesa Cattolica nei confronti di tutte le aspirazioni del mondo contemporaneo che vengono declinate come «segni dei tempi», ed anche tali accenni vengono strumentalizzati dai comunisti e dai teorici del “compromesso” fra
Cristianesimo e socialismo
Contribuì senz’altro all’ottimismo giovanneo il fatto che l’enciclica seguì di circa sei mesi l’appello papale risolutivo durante la crisi di Cuba dei missili fra Usa e Urss, della cui “provvidenzialità” sono anche recentemente emerse documentazioni a riprova (cfr., al proposito, la monumentale biografia scritta dal pronipote del Papa, Marco Roncalli, “Giovanni XXIII. Angelo Giuseppe Roncalli. Una vita nella storia”, Ed. Lindau).
Una lettura alla luce della fede dell’“ottimismo razionale” di papa Roncalli è stata così offerta da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2003): «Papa Giovanni XXIII non era d’accordo con coloro che ritenevano impossibile la pace. […] Guardando al presente e al futuro con gli occhi della fede e della ragione, il beato Giovanni XXIII intravide e interpretò le spinte profonde che già erano all’opera nella storia. Egli sapeva che le cose non sempre sono come appaiono in superficie. Malgrado le guerre e le minacce di guerre, c’era qualcos’altro all’opera nelle vicende umane, qualcosa che il Papa colse come il promettente inizio di una rivoluzione spirituale» (n. 3).
“I cattolici devono impegnarsi nella vita politica”, parola di Giovanni XXIII
Come ultimo spunto, quasi mai richiamato, della “Pacem in terris”, riprendiamo l’invito di Giovanni XXIII ai cattolici ad impegnarsi nella vita pubblica, partecipandovi con competenza e capacità e, soprattutto, componendo l’unità interiore fra fede e azione temporale (nn. 50-57). Per questo hanno bisogno di una solida formazione cristiana, che li orienti anche sulle possibilità e limiti della loro collaborazione con i non cattolici in campo economico e sociopolitico.
Puntualizziamo su questi punti dell’enciclica perché, anche negli approfondimenti apparsi in questi ultimi mesi sulla “Pacem in terris”, non paiono essere richiamati assieme a quelli successivi (nn. 82-85), contenuti nel molto più citato quinto e ultimo capitolo del documento dedicato ai “Richiami pastorali”, nel quale si affronta sotto tale prospettiva pastorale, appunto, l’ambito dei rapporti fra cattolici e non cattolici nell’azione sociale. Ebbene, se quello che viene solitamente considerato il punto culminante di tutta l’enciclica, cioè la distinzione tra le ideologie, «false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo», e i «movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche» (n. 84), andrebbe a mio avviso richiamato il maggiore valore, perché dottrinale, dell’insegnamento prima delineato da Giovanni XXIII sull’“unità di vita” nell’azione pubblica del cattolico. Questo anche perché sarebbe ora di consegnare alla storia il giudizio “transeunte” attribuito al Papa sul movimento storico dei popoli nei Paesi socialisti o comunisti di allora, che avrebbe potuto distinguersi dall’ideologia marxista, condannabile nei suoi principi, al fine di poter perseguire realizzazioni pratiche comuni con possibili vantaggi reali per il bene comune. Il comunismo, anche nelle sue realizzazioni storiche, sociali ed economiche, come ebbe efficacemente ad affermare fin dal 1985 l’allora cardinal Ratzinger, è stato e rimane «la vergogna del nostro secolo».