Il Dragone fa scherzi, ma non ai mercati. Calano crescita ed export nel secondo trimestre del 2013, così come, in fondo, la tensione sulle piazze asiatiche e non solo. I dati infatti, sono in linea con le attese degli analisti. Il passo lento dell’Occidente, del resto, rallenta necessariamente anche quello di Pechino. Ad arrivare da ovest è una domanda inferiore di beni, ma anche lo slogan di politica economica che imperversa quando lo sprint finisce: lotta al debito pubblico e più riforme strutturali.
I dati
La crescita dell’economia cinese è rallentata nel secondo trimestre del 2013, attestandosi al 7,5%, come era nelle previsioni degli analisti. Nel primo trimestre la crescita del Prodotto interno lordo cinese era stata del 7,7% su base annua. D’altra parte, la crescita della produzione industriale in Cina è rallentata a giugno all’8,9% su base annua, contro il 9,2% di maggio. Le vendite al dettaglio, invece, sono aumentate al 13,3% sull’anno, marcando una leggera crescita rispetto allo scorso mese di maggio (12,9%).
La reazione dei mercati
Secondo il Sole 24 Ore, si tratta di “una performance in linea con le attese, che ha attutito i peggiori timori di un ‘hard landing’ della seconda economia mondiale pur rappresentando il secondo trimestre consecutivo di frenata. Nel primo semestre del 2013 l’economia di Pechino è quindi cresciuta a un tasso del 7,6 per cento. Le Borse asiatiche, salvo Tokyo, chiusa per la festività del mare, hanno reagito con un certo sollievo e una tendenza a un leggero rialzo, in quanto c’era chi si attendeva sorprese negative, specie dopo una raffica di recenti dati macroeconomici piuttosto deludenti”.
Le previsioni delle banche d’affari
“Se la settimana scorsa il Fondo Monetario Internazionale aveva ridimensionato la sua previsione sulla Cina a un +7,8% per quest’anno – prosegue il Sole -, varie banche d’affari internazionali, da Goldman Sachs a Barclays e Hsbc, avevano ridotto già il mese scorso le loro stime a un +7,4%, che rappresenterebbe la crescita annuale più modesta dall’inizio degli anni ’90”.
I segnali del governo e il commento dell’istituto di statistica
Più rassicurante, sottolinea Reuters, l’istituto di statistica nazionale cinese, che ha parlato di una “performance economica stabile nel primo semestre” e ha parlato di indicatori compresi in “range ragionevoli”. Ma il premier Li Keqiang sta cercando di spingere sulle riforme, suggerendo in questo modo che il governo non ha fretta di offrire nuovi stimoli monetari per sostenere un’economia in rallentamento.
Il crollo dell’export
L’export cinese, secondo i dato dell’Amministrazione Generale delle Dogane di Pechino, è sceso del 3,1% a giugno rispetto allo stesso mese del 2012, con delle previsioni che lo stimavano invece crescere del 4%. Ma a calare è anche l’import, che segna un -0,7%, quando le attese erano di un aumento dell’8%. Dati deludenti, che hanno spinto l’amministrazione a parlare di un settembre dalle previsioni “cupo”.
Il debito pubblico locale e la stretta di governo e Bank of China
E i nuovi interrogativi sulla crescita del Dragone arrivano proprio quando Pechino è impegnata nel gestire e risolvere il problema delle migliaia di miliardi di dollari di debito pubblico locale. “Il focus è sulle riforme”, ha spiegato a Reuters Xu Hongcai, economista al China Centre for International Economic Exchanges (Cciee), un think tank di Pechino. “L’epoca delle vacche grasse è finita e se vogliono andare avanti, le amministrazioni locali dovranno concentrarsi su veri piani di riforme. Da Pechino soldi non arriveranno più”, ha concluso.
Le conseguenze internazionali secondo l’Ispi
“Dopo decenni di crescita fortissima – sottolinea l’Ispi – le autorità cinesi sembrano ora pronte ad accettare un passo più lento nell’espansione economica, portando avanti riforme strutturali”. Gli obiettivi? Sarebbero due, complementari: “Abbassare la dipendenza cinese dall’export, aumentando la domanda interna, e prevenire le turbolenze finanziarie. Una scelta che potrebbe avere conseguenze sulle performance anche dei Paesi partner, dato il peso economico cinese nel sostegno alla domanda mondiale”, conclude l’Istituto per gli Studi di politica internazionale.