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Le mosse di Pechino in Sud America a caccia di energia

Il Venezuela sta trattando per un prestito da 5 miliardi di dollari finanziato dalla Cina per un fondo investimenti statale recentemente in perdita a causa della frode di alcuni dipendenti. Sul tavolo delle discussioni tra Caracas e Pechino c’è la terza rata di finanziamento del Fondo congiunto sino-venezuelano, che investe in progetti edilizi e infrastrutturali, ripagando il debito in petrolio.

“Nelle prossime due settimane avremo ci sarà a Caracas un altro round di negoziati ad alto livello con la China Development Bank”, ha detto Temir Porras, presidente della banca per lo sviluppo Bandes, cui spetta l’amministrazione del fondo, citato dalla Reuters.

Il grosso del commercio e degli investimenti cinesi in America Latina è andato a Paesi, società e infrastrutture con lo scopo di sostenere l’estrazione di materie prime nella regione, ricordava a marzo The Diplomat, nei giorni della nomina formale di Xi Jinping a presidente della Repubblica popolare che oltre alla guida della seconda economia al mondo ha ereditato dal predecessore Hu Jintao rapporti più stretti con quella porzione di mondo. Relazioni che hanno visto un appuntamento di primo piano nel vertice dell’Asia Pacific Economic Cooperation di Lima, in Perù, nel 2008 e che continuano nonostante la concorrenza a esempio nel settore manifatturiero.

Come spiegava l’analisi di Sebastian Sarmiento-Saher, a beneficiare della strategia cinese sono stati i settori dell’agricoltura, delle miniere, dell’energia, in particolare quelle di Paesi come il Venezuela e il Cile. Il lato negativo rischia di essere l’eccessiva dipendenza di questi Paesi dalle esportazione di risorse, cadendo nel cosiddetto “male olandese”, ossia il processo di perdita di competitività e deindustrializzazione a causa dell’eccessivo afflusso di contante per la vendita di gas o petrolio, sull’esempio di quanto avvenne nei Paesi Bassi durante gli anni Settanta del secolo scorso.

L’interesse cinese nel settore energetico latinoamericano è stato anche al centro di una recente analisi della società di intelligence privata Stratfor che parte dall’annunciata intesa del 6 luglio con cui il colosso statale China National Petroleum Corp acquisterà il 30 per cento della ecuadoriana Rafineria del Pacifico capace di lavorare 300mila barili di greggio al giorno. L’accordo, si legge nell’analisi, è la prova più recente di un cambio di passo della strategia cinese.

Non si tratta più soltanto di prestiti in cambio di petrolio, ma di una “relazione più complessa” dalla produzione al processo di raffinazione, che garantisce a Pechino di soddisfare la domanda interna di materie prime. Sia il Venezuela sia l’Ecuador hanno risposto con favore a questo meccanismo, continua Stratfor. In cambio di 36 miliardi di prestiti, le esportazioni di petrolio e carburante venezuelani verso la Cina sono passate dai 50mila barili al giorno del 2005 ai 500mila dell’anno scorso.

È invece dal 2007 che le attività cinese hanno iniziato a espandersi considerevolmente nei settori energetici dei due Paesi. La China National Petroleum Corp e la Petroleos de Venezuela iniziarono con le joint-venture per produrre nella falda petrolifera dell’Orinoco. Lo stesso anno non era inusuale vedere decine tecnici venezuelani con le magliette della PDVSA studiare cinese all’Università di lingue straniere di Pechino. Qualcosa del genere si  è avuto in Ecuador dal 2006 con la Andes Petroleum per operare nel blocco di Tarapoa e nei blocchi 14 e 17.

La strategia conclude il rapporto è destinata a continuare negli anni. La Cina si garantirà le forniture a condizioni di favore. Caracas e Quito potranno a loro volta mantenere alti i livelli di spesa sociale grazie al flusso di liquidità, migliorando allo stesso tempo le capacità di produzione e di lavorazione del petrolio.

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