La crisi, questa crisi feroce e cattiva, che nella mente di tutti noi ha preso forma con gli scatoloni della Lehman Brothers di qualche anno fa, ci ha abituati al fallimento delle aziende e del momento simbolico della sua annunciazione, formale e pubblica. Stavolta però siamo riusciti a fare un passo ulteriore, abbiamo annunciato la bancarotta di un’intera città, Detroit http://www.washingtonpost.com/business/economy/governor-emergency-manager-defend-detroit-bankruptcy/2013/07/19/3d1fb772-f081-11e2-9008-61e94a7ea20d_story.html?hpid=z2Certo, diciamocela tutta, Detroit era una città da tempo in grande sofferenza. Un’agonia iniziata con la crisi dell’auto, quell’industria dell’auto che per decenni ha vissuto in simbiosi con la città stessa.
Il Governatore del Michigan l’ha annunciato formalmente. http://www.detroitnews.com/article/20130719/METRO01/307190076/Snyder-Michigan-municipalities-likely-won-t-face-higher-lending-costs-Detroit-bankruptcy?odyssey=tab|topnews|text|FRONTPAGE
Per uscire dalla bancarotta una città, negli States, può seguire il percorso previsto dal Codice Federale sulla Bancarotta. In questo caso non si applica il famoso Chapter 11, previsto per le aziende private, ma il Chapter 9. L’utilizzo di questa facoltà da parte di enti pubblici è molto più raro rispetto alle aziende private ma non infrequente. Le statistiche ci dicono che ci si è appellati al Chapter 9 per 37 volte dal 2010 ad oggi. Certo è che la comunicazione ufficiale di bancarotta per un ente pubblico ha un valore simbolico molto più grande rispetto ad un’azienda privata, perché si presta – a torto o a ragione – ad essere letto come un segno dei tempi.
Al tempo stesso occorre però anche essere realisti, il fallimento di Detroit non è la fine di questa città, per quanto afflitta da tempo da una grave crisi economica. Così come non lo è stata per lo Stato della California, recentemente risanato e addirittura con un saldo positivo di 1.4 miliardi di dollari.
Due considerazioni a questo punto. La prima è che, in generale, anche in questi casi gli Stati Uniti dimostrano una capacità di reazione e di cambiamento inusuale per l’Europa e in particolare per l’Italia. La seconda considerazione riguarda invece il bail out, ovvero l’aiuto pubblico che in questi casi spesso arriva da parte del governo federale.
Il Tea Party Tribune, uno dei molteplici organi di informazione del movimento Tea Party, tocca una questione fondamentale quando si chiede “The question is whether the Federal government is going to bail out Detroit and set off a dangerous precedent by having all the cities in financial dire straits coming to Washington for assistance?”.
http://www.teapartytribune.com/2013/07/19/the-city-of-detroit-goes-bankrupt/
Con questa domanda il Tea Party evoca uno spettro che dovrebbe inquietare l’animo di ogni autentico liberale. Quello che gli economisti chiamano il moral hazard, ossia la tendenza da parte di un soggetto ad assumersi rischi economici tanto più elevati quanto più è garantita l’assistenza di un terzo (lo Stato in questo caso) che potrà dare sostegno economico (il bail out appunto) nel caso in cui l’azzardo si riveli disastroso.