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Disoccupazione, il quadro Ocse e il flop dei dottorati in Italia

Più lavoro nel medio termine dopo la riforma Fornero, ma performance particolarmente negative per i giovani italiani, che, secondo l’Ocse, non hanno approfittato del quadro sconsolante per accrescere la loro istruzione. E a sottolineare il ritardo e la disorganizzazione del nostro Paese anche nell’alta formazione universitaria, e in particolare nel settore dei dottorati industriali, è anche l’esperto Michele Tiraboschi.

Il giudizio dell’Ocse

L’Ocse “assolve” la riforma Fornero. Pur rilevando un netto peggioramento delle performance occupazionali dell’Italia rispetto al resto dell’Ue negli ultimi mesi. Nel rapporto annuale sull’occupazione l’organizzazione parigina afferma che “la riforma del mercato del lavoro del 2012 aumenterà verosimilmente la creazione di posti stabili nel medio termine”. Tra l’altro, secondo l’istituto, “l’Italia rimane uno dei Paesi Ocse con la legislazione più restrittiva sui licenziamenti, in particolare per quello che riguarda la compensazione in assenza di reintegro e la definizione restrittiva di licenziamento ingiustificato che domina nella giurisprudenza”.

I giovani italiani

In tutti i Paesi avanzati, avverte l’Ocse, la mancanza di lavoro si è concentrata tra i giovani e i lavoratori con basso livello di qualificazione, ma in Italia negli ultimi mesi il peggioramento della situazione sui giovani è stato più veloce. “Per i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni, la proporzione di lavoratori inoccupata è cresciuta di 4,3 punti percentuali nell’area Ocse tra l’ultimo trimestre del 2007 e l’ultimo trimestre del 2012”. Nello stesso periodo in Italia questo aumento è stato di 6,1 punti. Una dinamica che contrasta con l’esperienza di molti altri Paesi, rileva ancora l’Ocse, dove molti giovani hanno risposto alle prospettive occupazionali scoraggianti ritardando l’ingresso nel mercato del lavoro e approfondendo gli studi. “Per i giovani Neet italiani c’è un rischio crescente di conseguenze di lungo termine”.

I dottorati in Italia

E l’aiuto non arriva neanche dalle università, come sottolinea sul tema del dottorato industriale Michele Tiraboschi, giuslavorista, allievo di Marco Biagi e coordinatore del comitato scientifico di Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro. “È da almeno un paio di decenni che si registra, in ambito internazionale e comparato, una crescente attenzione verso l’emersione di innovativi percorsi di alta formazione universitaria e, segnatamente, verso quelle nuove tipologie di dottorato di ricerca che risultano maggiormente orientate alla collaborazione con le imprese e alla soddisfazione dei fabbisogni professionali espressi dal mercato del lavoro. Non così si può dire, tuttavia, per l’Italia. Con specifico riferimento ai dottorati di ricerca – commenta Tiraboschi nell’analisi ‘Dottorati industriali e mercato del Lavoro: appunti per una ricerca’ – si registra una scarsa attenzione, non solo a livello normativo, ma anche nella progettazione della offerta formativa di taluni Atenei o, meglio, di quei corsi di dottorato che denotano maggiore propensione alla innovazione, al mercato del lavoro, alle professioni e alla collaborazione con le imprese, pur in presenza di importanti misure di incentivazione agli investimenti priva-ti nella ricerca universitaria”.

“Nella loro trentennale esperienza, i dottorati di ricerca italiani si sono caratterizzati, spesso in negativo, come scuole autoreferenziali di formazione e cooptazione di accademici e futuri professori, più che come centri di innovazione, trasferimento tecnologico e, più in generale, di avanzamento delle conoscenze del sistema economico, sociale e produttivo del Paese”.

Il flop dei dottorati industriali

E non va meglio per i dottorati industriali. “A più di dieci anni dalla loro introduzione nel nostro ordinamento, ancora stentano a decollare pur rappresentando uno dei tratti qualificanti per l’avvio di corsi e scuole di dottorato industriale che si incentrano su una continuativa presenza del dottorando in ambienti produttivi auspicabilmente non solo in esecuzione di un progetto di ricerca (o una parte di esso) finanziato da un soggetto privato, ma anche con la qualifica di ‘lavoratore dipendente’ e non solo di ‘studente’ in un periodo di internship”.

Numeri e reali possibilità

E i dati, in generale, parlano chiaro. “In Italia – sottolinea Tiraboschi – accedono ogni anno ai percorsi di dottorato di ricerca oltre 12 mila laureati. Le statistiche dicono tuttavia che solo pochi di loro (circa 2.000) riusciranno realmente, dopo una lunga transizione fatta di borse post dottorato, assegni di ricerca e contratti precari, a proseguire la trafila ed entrare nei ruoli universitari”, conclude l’analisi.

Leggi qui l’analisi “Dottorati Industriali e mercato del lavoro: appunti per una ricerca”, di Michele Tiraboschi.


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