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Due miliardi per Loro Piana, chi ce li aveva in Italia?

Inutile girarci intorno. L’ennesima calata oltre confine di Bernard Arnault di Lvmh per acquisire il gioiello del lusso di turno – Loro Piana – ci fa incazzare. Ma dura poco purtroppo. Un’abbaiata a squarciagola e poi a tavola, che si mangia. Tutto, ahinoi, finisce lì, tra una forchettata di pasta e un bicchiere di bianco fresco.

E’ possibile che non si possa arrestare l’emorragia di marchi del lusso, tra le pochissime attività di valore rimaste qui? Non si tratta solo di grandi aziende: anche le pasticcerie di Milano sono diventate oggetto del desiderio del solito Arnault, che qualche giorno fa ha comprato Cova, indirizzo in via Montenapoleone.

La risposta amara è che, se le cifre in ballo sono i due miliardi di euro pagati da Arnault per l’80% del capitale di Loro Piana, non sarà possibile. E di pezzi pregiati ne perderemo ancora. Quale altra casa di moda italiana avrebbe potuto sborsare quella cifra per un gruppo che nel 2012 ha fatturato 630 milioni di euro, con un utile netto che se va bene è il 10 -15% dei ricavi. Ovvero pari a 60-90 milioni di euro. Quanto ci vuole per ripagare quell’investimento? Probabilmente molto, ma Lvmh ragiona da società industriale e non da conglomerata finanziaria: accompagna con sapienza il suo futuro di lungo termine.

Giorgio Armani, Miuccia Prada, Dolce & Gabbana, avrebbero trovato tutti quei soldi? Non credo che le banche italiane avrebbero finanziato un progetto con quelle cifre. Non lo fanno per meno. E non perché gli acquirenti non sarebbero stati capaci. Perché ormai il clima in Italia è quello dell’abbandono più totale, e il governo – ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, se ci sei batti un colpo – latita come ben si sa, preso solo ad interrogarsi se l’Imu va tolta o riformata.

Non conta molto che (inizialmente) le produzioni resteranno qui: dove altro sennò, dato che Lvmh ha acquisito la società anche per la sua manodopera, come aveva fatto Pinault, patron dell’altro gruppo francese del lusso Kering, con le nostre Gucci e Brioni. Porteranno in Francia il valore aggiunto di quei prodotti, i segreti industriali per replicarli in futuro chissà dove, impoverendo il nostro tessuto produttivo. Anche i manager saranno francesi, fermando la carriera agli italiani talentuosi che avranno meno accesso alla visuale di business che si gode dai vertici apicali.

L’unico soggetto che può fare da aggregatore per queste realtà è la Cassa depositi e prestiti, cui si dovrebbe chiedere di diventare la nuova Iri. Per il bene e per il futuro di tutti. Ma che si faccia presto a dargli questa nuova mission.  (twitter: @alfredofaieta )

 

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