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Ecco perché il Pd non sopporta più le larghe intese

Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo il commento di Marco Bertoncini apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Non è solo l’attesa della sentenza di Cassazione a preoccupare il Pd. Se, ovviamente, la candidatura Renzi è all’origine di dissidi interni sempre più pericolosi, la questione fondamentale che travaglia i democratici è la partecipazione al governo: o meglio, la compartecipazione in questa maggioranza.

Gli esponenti del Pd avvertono un preoccupante incremento di contestazioni dalla base, insofferente per la coabitazione con i seguaci del Cav. Il timore è che le prossime feste estive del partito, tradizionali occasioni di mobilitazione per gli iscritti, rischino di far esplodere la contestazione contro i vertici, ritenuti acquiescenti verso il Pdl. Anche senza tale visione di un Pd asservito al Pdl (ogni circostanza, poi, è buona per polemiche in tal senso, dall’Imu alla vicenda kazaka), tuttavia, sono avvertite come quasi intollerabili le larghe intese in sé.

Una forte pressione contestatrice arriva dal partito de la Repubblica, che non perde occasione per dedicare paginate intere a questioni (dalla riforma del porcellum a svariati temi di giustizia) sollevate con l’unico intento di mandare a ramengo l’accordo di coalizione.

Se il Pd continua a reggere a queste sollecitazioni (condivise, del resto, da larghi settori parlamentari, ostili o favorevoli a Renzi poco importa) si deve a più fattori. In primis, il Colle. Poi, la totale incertezza sul dopo Letta: governo, maggioranza, elezioni (con quale sistema?). Ancora: il timore di conseguenze pesanti nella finanza internazionale.

Si capisce, quindi, perché ricorrentemente Guglielmo Epifani si eserciti nel ruolo di pompiere, sperando che il Pdl non usi la faccia feroce, che indispettisce maggiormente la base del Pd, sempre più scontenta (e sempre meno numerosa).


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