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L'Egitto infiamma il petrolio

Il vento della primavera araba che in Egitto ha portato con sé il presidente Mohamed Morsi continua ancora. E sembra aver preso una direzione tutta inaspettata se adesso l'obiettivo della rabbia della popolazione è proprio l'uomo che doveva impersonare la democrazia del Cairo. Ma l'insurrezione non è figlia della sola stretta autoritaria di Morsi. Dall'epoca dell'ex presidente Mubarak, l'uomo nuovo della Fratellanza Musulmana ha speso le sue energie solo per combattere l'opposizione, incurante della crisi economica sempre più forte che attanagliava il Paese.

Le dimissioni in vista per Morsi

Morsi sta per dimettersi o è sul punto di essere rimosso dal suo incarico. Ne è convinto il quotidiano egiziano al-Ahram, secondo cui questo dovrebbe accadere allo scadere dell'ultimatum fissato per oggi dall'esercito per trovare una soluzione della crisi politica nel paese. Al-Ahram fornisce anche dettagli sulla road map politica messa a punto dai militari. Dopo la rimozione di Morsi verrebbe istituito un governo di transizione neutrale guidato da un leader militare. La transizione durerebbe da 9 a 12 mesi e in questo periodo dovrebbe essere delineata una nuova costituzione e definito un percorso per le elezioni presidenziali.

Gli scontri e le ripercussioni sul mercato petrolifero

Al Cairo sono scoppiati scontri violentissimi che hanno già provocato 16 morti e oltre 200 feriti. E i mercati rivivono i momenti della primavera araba e temono ripercussioni sulla crescita economica mondiale che rischia di scontare il caro petrolio, schizzato oltre quota 100 dollari per la prima volta da settembre.

Il rischio per la regione

“Ci sono serie preoccupazioni per il mercato petrolifero a causa della situazione egiziana e non solo. Nuove insurrezioni potrebbero allargarsi a macchia d’olio anche nel resto del Medio Oriente”, ha spiegato alla Bbc Michael McCarthy, chief market strategist di CMC Markets. “Stiamo monitorando anche la situazione in Libia e in Siria”, ha aggiunto.

Ma le tensioni, anche economiche, di questi giorni, non sono che l’apertura del vaso di Pandora egiziano. “Se la recessione era forte quando nel 2012 ha preso il potere Mohammed Morsi, il Paese arabo più popoloso, con ottanta milioni di abitanti, vive oggi un avvitamento pauroso”, ha detto al quotidiano Usa Today il docente all’Università di Georgetown a Washington Paul Sullivan.

Morsi e lo scontro politico

“Il disastro economico egiziano? E’ il risultato delle preoccupazione di Morsi, sempre più teso a rafforzare il controllo politico piuttosto che a concentrarsi sull’elaborazione di serie politiche economiche”, ha osservato invece Marina Ottaway, analista per il Woodrow Wilson International Center. L’instabilità politica ha quindi allontanato gli investitori, e la volontà del governo di non trovare un accordo con l’opposizione ha prolungato ed esacerbato la crisi economica.

Il sostegno degli Stati alleati

Gli Stati alleati dell'Egitto hanno fornito prestiti al regime, almeno 3 miliardi di dollari rispettivamente da Qatar e Arabia Saudita, 1 dalla Turchia, 2 dalla Libia. Risorse con cui si è cercato di mettere una toppa al debito crescente. I pagamenti per interessi sono aumentati a 8 miliardi annui, dai 5 dell’era Mubarak, mentre l’inflazione è salita del 3% al 18%. Il Paese, che dovrebbe essere un esportatore di gas naturale, ha visto da un lato crescere la domanda sostenuta da incentivi pubblici, e dall’altro un crollo degli investimenti nel settore produttivo.

Fmi e Usa

Adesso che è impensabile aumentare le tasse, ma anche ridurre I sussidi, Morsi sta elemosinando nuovi prestiti. Il Fondo Monetario internazionale deve approvare uno stanziamento di 4,8 miliardi di dollari, mentre gli Stati Uniti continuano a fornire garanzie annuali, come gli 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari e i 250 milioni in assistenza economica propria.

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