I mille colori di piazza Tahrir non si possono ricondurre solo al bianco o al nero. Allo stesso modo, ciò che sta accadendo in Egitto non può essere etichettato come “golpe militare” o “popolare”. La vede così Gianni Riotta, editorialista della Stampa ed ex direttore di TG1 e del Sole 24 Ore.
In un’intervista con Formiche.net, il giornalista e saggista spiega: “E’ una sciocchezza cercare di inquadrare con una parola il caos che vive oggi l’Egitto. Solo gli italiani e la sinistra americana hanno questa mania definitoria, filosoficamente parlando si potrebbe chiamare ‘nominalismo’. In realtà bisogna capire cosa è successo”.
E che cosa è successo?
E’ caduto un despota, Mohammed Morsi, sostenuto dagli Stati Uniti per questioni di stabilità. A destituirlo, dopo appena un anno di presidenza, un grande movimento popolare sostenuto dall’esercito, formato da una componente democratica occidentale e laica e da una islamista.
Perché Morsi è stato estromesso dopo appena un anno?
Le elezioni avevano premiato i Fratelli musulmani e il candidato da loro sostenuto, Morsi, avrebbe potuto governare da islamista moderato, un po’ come fece Erdogan in Turchia nel primo periodo. Il suo invece non è stato un islamismo soft ma ha calcato la mano su tanti fronti fino a quando il popolo si è ribellato e siamo arrivati a questi scontri.
E ora che succede? Si va verso nuove elezioni, come ha promesso il capo dei militari Abdel Fattah Al Sisi?
Se l’esercito spingerà troppo la leva sui Fratelli musulmani, c’è il pericolo di nuovi scontri e violenze. Se invece le forze armate gestiranno una fase di transizione pacifica verso la democrazia e nuove elezioni, allora la situazione può tornare alla normalità. E’ difficile però capire ora su quali dei due binari andrà l’Egitto.
Qual è il ruolo degli Stati Uniti e di Obama in questa situazione? Su Twitter, lei ha scritto che il presidente Usa “pattina sull’Egitto”…
Obama è un po’ come Amleto, è il più grande autore di discorsi della storia americana. Su come questi poi si trasformino in politica, è evidente la sua enorme difficoltà. Anche con l’Egitto è stato così. Sembra che il presidente Usa vada a rimorchio degli avvenimenti.
Tra l’imbarazzo per il sostegno a Morsi e ai Fratelli musulmani in Egitto e quello per il Datagate, che festa dell’Indipendenza sarà per gli americani?
L’idea che la festa di una famiglia in Ohio o in un ranch nello Huta vada storta a causa degli scontri in Egitto è assurda. La preoccupazione degli americani è una sola: l’economia. La politica internazionale resta tema da professionisti internazionali ma a un cittadino statunitense importa se riuscirà a pagare il college per suo figlio, se avrà un lavoro… Morsi probabilmente non sa neanche chi sia.