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Gli eurozombie e la sindrome giapponese

“Quanto è probabile che nell’eurozona si verifichi uno scenario tipo Giappone anni ’90?”, si è chiesto di recente Benoît Coeuré, componente del board della Bce. Invitato a parlare all’Amundi World Investment forum 2013, il banchiere centrale ha manifestato senza troppi peli sulla lingua il suo timore che la terribile sindrome giapponese, quella del “decennio perduto” fra il 1991 e il 2000, finisca col contagiare l’eurozona.

In quegli anni il Giappone sperimentò una crescita media annuale inferiore allo 0,5%, con una latente deflazione e un crescente indebitamento, pompato anche dai numerosi piani di stimolo pubblici e dal progressivo invecchiamento della popolazione. “Uno scenario particolarmente preoccupante per l’area dell’euro”, dice il nostro banchiere, specie se “il settore bancario non completa gli sforzi per diminuire l’indebitamento e non ristruttura i suoi bilanci”.

Le banche, infatti, sono il primo problema dell’eurozona. E i policy makers lo sanno benissimo, banchieri centrali in testa, che infatti stanno spingendo come dannati per arrivare alla definitiva approvazione dell’unione bancaria.

L’eurozona, spiega Couré, mostra già i pericolosi sintomi della sindrome giapponese. Nel primo quarto del 2013 il Pil è sceso dello 0,3%, dopo esser diminuito dello 0,6% nellultimo quarto del 2012. Dal secondo quarto del 2009 ad oggi l’economia dell’area è cresciuta di appena il 2,5%. E se si fa in confronto col picco del primo quarto del 2008, l’eurozona risulta addirittura in calo del 3,3%. In più la disoccupazione continua a crescere e la domanda, di conseguenza, è stagnante.

L’unica speranza di ripresa arriva dalla domanda estera che, qualora ripartisse l’economia, sarebbe in grado di far ripartire l’export con relativo sollievo per i conti dell’eurozona. Ma, come abbiamo già visto, l’export è solo una componente del Pil. E inoltre un aumento dell’export netto non risolverebbe i problemi dell’area.

“E’ necessario – dice – che avvengano i necessari aggiustamenti sia sul settore pubblico che su quello privato“, specie in un contesto nel quale si intravede l’orientamento verso una politica monetaria più restrittiva oltreoceano. La Bce, dal canto suo, continuerà con le sue politiche monetaria allentate “tutto il tempo che sarà necessario”, ma questo, dice chiaramente Couré, non basta.

La commissione europea, la scorsa primavera, ha rilasciato un rapporto sulla base del quale viene calcolato che la distruzione di ricchezza dell’area potrebbe calcolarsi in un 5% permanente, a causa di una serie di fattori che sono strutturali: dalla crescente disoccupazione all’invecchiamento della popolazione. Anche questo fa molto Giappone. Una “deflazione” così pesante ha effetti diretti sugli indicatori fiscali, visto che un Pil più basso fa saltare gli indici debito/Pil e deficit/Pil. Quindi, dice il nostro banchiere, “bisogna aggiustare il nostro modello sociale” e questa responsabilità, sottolinea “non è nella mani della banca centrale”.

A monte di queste riforme, c’è quella che viene giudicata al momento la più importante: quella che riguarda il circuito finanziaro. Ed è qui che la sindrome giapponese mostra evidenti affinità con quella che ha messo in ginocchio l’eurozona: “Un pericolo bene identificato – aggiunge – è l’emersione delle cosiddette banche-zombie”.

Questa simpatiche entità sono banche sottocapitalizzate che però continuano ad operare, quindi a prestare, semplicemente nascondendo le perdite fra le pieghe dei loro bilanci. Sono banche morte che continuano a vivere. Zombie, appunto, che finiscono col contagiare tutto ciò a cui si avvicinano.

Il fenomeno delle banche-zombie emerse in Giappone dopo il collasso dei mercati immobiliare e finanziario del 1990. Le corporation non finanziarie erano imbottite di debiti e ormai incapaci di pagare persino i relativi interessi. Se le banche creditrici avessero riconosciuto come non esigibili questi crediti avrebbero finito col fallire. E proprio la paura del fallimento spinse le banche a far finta di nulla. I crediti furono confermati ai debitori insolventi, nella speranza che la crisi guarisse da sola o che il governo intervenisse con ampi salvataggi. Il risultato è stato il famoso “decenno perduto” per l’economia giapponese.

Così almeno la spiega Couré, secondo il quale “il prestatore-zombie è pericoloso perché impedisce il fisiologico progresso della distruzione creativa che contribuisce a far aumentare la crescita”.

E qui torniamo alla domanda inziale: quanto è probabile che tale scenario si produca anche da noi?

Abbiamo già visto che alcuni presupposti ci sono, pure se le dimensioni del problema sono differenti. Il debito complessivo delle aziende giapponesi sul Pil, nel 1990, era del 130%, e solo dopo 15 anni è sceso all’80%. Nell’eurozona tale livello, sin dal 2007, non ha superato il 75-80% del Pil. Le famiglie europee, inoltre, sono meno indebitate rispetto a quelle giapponesi. La seconda differenza è che il livello di aggiustamento del prezzo degli asset è stata più contenuta in Europa, rispetto al Giappone. Nel settore residenziale, calcola il nostro banchiere, l’aggiustamento dal picco del 2008 è stato, per tutta l’eurozona, di circa il 3% (ma questa assomiglia più alla media del pollo di Trilussa). Le borse addirittura sono salite. In Giappone invece i prezzi di mattone e borsa sono crollati del 40% in dieci anni dal picco del 1991. La terza differenza sostanziale è nel livello dei tassi di interesse, che “in Giappone rimangono a un livello considerabilmente più alto rispetto all’eurozona”. Ma questa considerazione non sembra tenga conto degli spread. Infine, la distruzione di potenziale produttivo giapponese è stata molto più massiccia di quella che si è verificata nell’eurozona.

Conclusione: l’eurozona sta relativamente meglio del Giappone degli anni ’90. Ma con un’avvertenza: “l’aggregato dell’euro area nasconde significative eterogeneità fra i paesi dell’euro”.

Al netto di queste differenza e dell’eterogeneità (che abbiamo imparato bene a conoscere), rimane in comune solo un grande problema: le banche-zombie.

“Il rischio che tali entità operino nell’eurozona non può essere accantonato”, avverte. La crisi finanziaria ha lasciato le banche a corto di capitale. “Ancora oggi – sottolinea – il numero delle sofferenze continua ad aumentare in diverse giurisdizioni, anche se rimane stabile per i grandi gruppi bancari”. Tuttavia “la grande esposizione delle banche ai debiti sovrani potrebbe avere effetti sul settore non finanziario dell’economia”. C’è il rischo che insomma, per finanziare gli stati le banche smettano di prestare ai privati, con tutte le conseguenze economiche del caso.

In particolare l’abitudine di comprare bond statali a lungo termine grazie ai fondi a breve forniti dalla Bce “somiglia al comportamento censurabile delle banche durante il decennio perduto del Giappone”. E questa è la minaccia più grave per futuro dell’area, visto che il credito bancario non va dove dovrebbe (le imprese che producono) ma rimane incagliato nei bilanci statali.

Le conclusioni di Couré le conosciamo ancora prima di leggerle: l’unione bancaria. Detto in altre parole, bisogna avere il coraggio di effettuare quella distruzione creativa che sblocchi il circuito economico consegnando innanzitutto le banche-zombie al posto che spetta loro: il cimitero. Non a caso l’Ue sta immaginando un sistema di risoluzione che prevede che il regolatore possa chiudere le banche “morte”, anche senza il consenso degli stati. E’ il trionfo del Berliner consensus.

Questo lato settore finanziario.

Lato reale, rimane da vincere la sfida più difficile e pericolosa: quella della disoccupazione. “L’emergenza di una generazione perduta è moralmente inaccettabile”, dice Couré. Un esercito di cittadini, specialmente giovani, senza lavoro né prospettive, in un contesto di debolezza strutturale dei bilanci pubblici e di invecchiamento della popolazione è capace di delineare scenari ben più distruttivi di quelli innescati dalle banche-zombie giapponesi.

Sono i disoccupati i veri eurozombie dell’Ue, prima ancora delle banche.

La minaccia dei disoccupati-zombie dell’eurozona è molto più palpabile e concreta.

E spaventosa.



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