tra i grandi consensi che hanno accolto la decisione del governo di sopprimere ogni distinzione normativa tra figli legittimi e figli naturali si distingue la posizione di alcuni opinionisti cattolici che lamentano che la riforma abbia determinato l’ennesimo vulnus all’istituto del matrimonio: “non si possono dunque riconoscere diritti propri del vincolo matrimoniale a soggetti che non vivono nella realtà matrimoniale. Un atto discriminatorio dunque? No, per nulla. Infatti ai figli nati fuori dal matrimonio da sempre sono stati riconosciuti i diritti fondamentali: vita, salute, educazione, libertà, etc. Per lo Stato italiano non ci sono quindi figli di serie A e serie B (eccezion fatta per il figlio abortito e quello nato in provetta). Ma è una contraddizione assegnare ai figli di genitori non sposati, che non si sono assunti nessun particolare obbligo giuridico, quei diritti che sono frutto invece di un impegno reciproco delle coppie coniugate. Vero dunque che tutti i figli sono uguali, ma non sono uguali tutte le relazioni da cui vengono ad esistenza i figli.Qualcuno potrebbe obiettare che questo trattamento a doppio binario faceva pagare ai figli le scelte personali dei padri. L’obiezione non fa una grinza. Infatti i genitori devono essere responsabili delle proprie scelte anche nei confronti dei figli. Se due conviventi non si vogliono sposare, sappiano che questa decisione inciderà anche sui figli. Se Tizio sceglie di emulare le gesta di Don Giovanni e ci scappa il bebè, si assuma poi le responsabilità del suo gesto e non chieda che lo Stato metta una toppa al suo posto. I figli giustamente vengono considerati creature innocenti e quindi spetta ai genitori tutelarli, creando quelle condizioni di vita che garantiscano loro una esistenza serena.
Non si chieda allo Stato di fare quello che è compito dei padri e delle madri. Lo Stato non è nostra mamma. Se lo si fa, i genitori vengono ancor di più deresponsabilizzati” (la bussola quotidiana del 13 luglio).
si tratta di una opinione che quantomeno fa riflettere.