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Il “golpe buono” dell’Egitto e i cortocircuiti della comunicazione politica

A volte i paradossi della storia sono così forti da mettere a dura prova anche il linguaggio e le espressioni che ormai siamo abituati a utilizzare. Il colpo di stato in Egitto di questi giorni è uno di quei casi.

Tutti noi siamo abituati ad assegnare alla parola golpe, colpo di stato, putsch ecc… una valenza negativa. Istintivamente associamo a questo termine foschi presagi di negazione delle libertà fondamentali. Possiamo addirittura decifrare, più o meno inconsciamente, sottili rimandi storici a seconda della lingua nella quale viene pronunciato. Dall’italiano colpo di stato, che può ricordare i più volte temuti golpe durante gli anni Settanta, al tedesco putsch, storicamente legato a quello, fallito, di Hitler a Monaco, sino all’espressione spagnola golpe, intimamente legata ai golpe del burrascoso Sud America.

Questa difficoltà di rappresentazione nasce dal fatto che stavolta il golpe è in buona parte appoggiato dalla popolazione. Certo, non dobbiamo fare l’errore di pensare che il Cairo, o ancor meno piazza Tahrir, rappresentino l’intero Egitto. Non possiamo sapere infatti quanta parte della popolazione nutra ancora, nonostante tutto, una certa simpatia verso la Fratellanza Musulmana. Inoltre, dettaglio non secondario, nei Paesi arabi il fondamentalismo non si nutre solo di sermoni infuocati nelle moschee ma anche, e purtroppo, di attività caritatevoli dedite all’assistenza umanitaria e sanitaria, in realtà dove spesso ampi strati della popolazione vive in condizioni disagiate. Ecco perché dico che non possiamo sapere di quanto consenso, più o meno esplicito, i Fratelli Musulmani godano ancora nell’Egitto profondo. http://articles.washingtonpost.com/2011-04-08/world/35262222_1_freedom-and-justice-party-muslim-brotherhood-independents

Però è anche vero che il Presidente Morsi era ormai praticamente isolato nella società egiziana. Un sommovimento di questo tipo di certo non nasce dal nulla o ad opera solo di una minoranza.L’Egitto è un Paese, non dimentichiamolo, che nonostante le sue arretratezze è pur sempre il capofila dei Paesi arabi, nonché detentore di un ruolo strategico enorme sul Canale di Suez, ovvero una delle porte di acceso attraverso le quali il mondo viaggia, si scambia merci e, in una parola, vive. Si tratta di un ruolo del quale la società egiziana, abituata a decenni di nazionalismo da Nasser in avanti, è in buona parte consapevole. Come conseguenza di questa strana situazione quindi, l’esercito golpista e la maggior parte della popolazione si sono trovate dalla stessa parte della barricata. Un fatto raro nella storia contemporanea. http://www.harvardilj.org/2012/10/the-democratic-coup-detat/

A questo si aggiunga che l’esercito ha dato l’impressione, almeno per il momento, di non voler tenere il potere, ma anzi di voler organizzare al più presto libere elezioni e riconsegnarlo nelle mani dei civili. Si tratta di un messaggio tranquillizzante rivolto anche alle cancellerie internazionali. Da tutto ciò nasce la sensazione, soprattutto nei media occidentali, di un golpe che potremmo paradossalmente definire “buono”. http://news.panorama.it/esteri/Un-golpe-democratico-per-il-nuovo-Egitto

A questo si aggiunga che noi occidentali tendiamo ad essere a dir poco indulgenti verso questo colpo di stato anche perché sembra liberarci dalla sottile angoscia di dover avere a che fare con un governo islamico che, seppure tra mille contraddizioni, non pareva certo la soluzione migliore per frenare l’islam radicale.

Da segnalare in questo senso il furbo appoggio che Assad ha dato al golpe. Si è trattato di un’abile e tempestiva mossa propagandistica, dal momento che lo stesso Assad, impegnato da tempo in una sanguinosa guerra civile, accusa i ribelli siriani di essere la quinta colonna dell’Islam radicale. http://www.washingtonpost.com/world/middle_east/syrian-regime-battling-its-own-revolt-urges-egypts-president-to-step-down-in-face-of-protests/2013/07/03/25509d70-e404-11e2-bffd-37a36ddab820_story.html

Insomma, tecnicamente è un colpo di stato. Nel momento in cui un governo regolarmente eletto viene destituito con la forza, non può che essere chiamato così. Ed infatti la prima e più scontata reazione dell’ormai ex Presidente Morsi è stata proprio quella di denunciare l’illegittimità di quest’azione. Eppure anche se la ratio ci dice questo, il senso politico ci dice tutt’altra cosa, per i motivi che abbiamo detto sopra. Parafrasando Pascal, potremmo dire che la politica ha ragioni che la ragione non conosce. Chissà se Morsi ci mediterà su.



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