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Intelligence e controspionaggio, tutti i dubbi nell’intrigo kazako

In una vicenda come quella della “deportazione” (copyright del britannico Financial Times) della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov (nella foto), potevano mancare i nostri 007? Giammai. Aveva provato per primo il sito Dagospia a coinvolgere il direttore dell’Aisi, il servizio segreto interno, in quanto referente politico del ministro dell’Interno Alfano e dell’ex presidente del Senato Schifani.

Quella pista che avrebbe voluto il generale Esposito coinvolto nell’affaire si era però ben presto rivelata poco meno che infondata. Semmai quello che ha poi suscitato maggiore curiosità è stato il fatto che l’intelligence italiana non si era per nulla interessata a quanto stava accadendo a Roma a fine maggio. La presenza in quel di Casal Palocco del principale oppositore del regime di Nazarbev e il movimento di spie esterne (e private) nella capitale non era stato captato dai radar del controspionaggio.

POCA ANALISI
Il fatto che Ablyazov risultasse alle autorità italiane come un ricercato dalla Criminalpol e non come importante dissidente politico meritevole di protezione nell’interesse della sicurezza nazionale da un lato rende evidenti le forzature polemiche dei giornalisti e dei politici amanti delle prediche del giorno dopo ma segnala anche una obiettiva carenza di analisi nel riconsiderare la politica, l’economia e la geografia alla luce dei rivolgimenti che stanno modificando in radice i poteri di forza fra i grandi player globali.

NON SOLO GEOPOLITICA
È chiaro, allo stesso modo, che l’intelligence non può cavarsela con una lezioncina sulla geopolitica. Il controspionaggio, hanno ragione i critici, non ha funzionato, ha mostrato una crepa. Per quanto solide possono essere le attenuanti del caso, il tema c’è e va messo sul tavolo e non per chiedere l’ennesima testa da tagliare. Lo scambio con i francesi per il quale noi cediamo Loro Piana e noi acquistiamo una ghigliottina usata (e non sicura), non pare essere un grande affare. Tornando al nodo del controspionaggio, occorre riflettere sul fatto che prima della recente riforma questo decisivo comparto della sicurezza nazionale era governato dall’allora Sismi, il servizio segreto militare concentrato sulle operazioni all’estero. Lo scandalo Abu Omar e quello Telecom travolsero non solo il direttore Nicolò Pollari ma anche il suo numero 2 quel Marco Mancini che guidava proprio il controspionaggio.

LE RAGIONI DI UNA RIFORMA
Di lì la riorganizzazione dell’intero sistema delle informazioni per la sicurezza con la istituzione del Dis presso la presidenza del Consiglio e quindi le due agenzie, l’Aisi e l’Aise. Una delle principali novità fu proprio lo spostamento del controspionaggio dall’ex Sismi al servizio segreto interno. Il passaggio di consegne c’è stato ma solo parzialmente. Molte delle, qualificate, risorse umane e strumentali sono rimaste infatti all’agenzia esterna ed il giovane servizio del controspionaggio appare oggi, come si può ahinoi constatare, ancora debole.

IL CONTROLLO SUI SERVIZI
Il direttore dell’Aisi, Esposito, sarà domani in audizione al Copasir e c’è da scommettere che, sia per i suoi buoni rapporti con il ministro Alfano che per la falla dell’intelligence emersa nel caso Kazakhstan, sarà oggetto di molti interrogativi e non poche critiche. Fa parte del gioco ed è giusto che il Parlamento eserciti fino in fondo e senza limitazioni il suo giusto indirizzo di controllo sui servizi segreti italiani.
C’è da chiedersi però se, alle condizioni date e appurata la necessità di avere una intelligence capace di prevenire fatti che poi si rivelano importanti per la sicurezza nazionale, il comparto del controspionaggio debba essere oggetto di una nuova intifada o se invece non sia più opportuno fare in modo di rafforzarlo rendendolo più funzionale ai suoi scopi istituzionali. Ad una politica accecata dalle polemiche strumentali e dalle campagne di stampa, promosse con livelli di consapevolezza non sempre raffinatissimi, toccherebbe fermarsi un attimo a riflettere provando ad andare oltre le divisioni di parte e ragionando nell’interesse nazionale.

I DUBBI DEL CASO
Con un animo meno soffocato dal pressing mediatico ci si potrebbe soffermare, per esempio, sul fatto che l’unico servizio segreto che sicuramente aveva piena coscienza del ruolo di Ablyazov era quello inglese. Poiché le relazioni fra i due Paesi (Italia e Uk) sono orientate alla massima collaborazione, anche in termini di sicurezza, perché il servizio di Sua Maestà non ha informato i colleghi a Roma? È mancata la fiducia, è stata una scelta voluta o solo un caso di distrazione? Questi quesiti sono molto meno marginali di quanto possono sembrare e dovrebbero interrogare i vertici politici italiani anche in vista della visita del premier Letta a Londra. O no?


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