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La colpa dei creditori

Nella caccia al debitore che si è scatenata con l’esplodere della crisi, che ha coinvolto prima gli individui e poi gli stati, ci si dimentica sempre di un semplice dettaglio: se qualcuno ha un debito è perché qualcuno gli ha fatto credito.

Se davvero il debito è una colpa, come suggeriscono l’antropologia e l’etimologia, allora tale colpa deve essere condivisa, a meno che non si voglia celare dietro astratte considerazioni tecniche quella che è la realtà delle relazioni umane, ossia la loro bidirezionalità.

Senonché siamo troppo distratti dalla paura dei debiti per ricordarci che corrispondono ad altrettanti crediti. Sottolinare i tanti fallimenti bancari che si sono succeduti dal 2008 in poi, o i corposi salvataggi effettuati a caro prezzo dagli stati, non basta a redimere i debitori, cui viene attribuita la responsabilità di tali fallimenti, mentre sarebbe più giusto sottolineare che l’abbuffata del credito è stata possibile grazie a una precisa volontà degli operatori finanziari, per i quali prestare è un business molto remunerativo.

Non bisogna andare troppo in là nel tempo per ricordare con quanta solerzia le banche spingevano i clienti a prendere a prestito per comprare una casa o una nuova automobile. E se è giusto rimproverare i debitori perché ci sono cascati, è altrettanto giusto sottolineare le responsabilità di chi ci ha provato e poi ha privatizzato i guadagni e socializzato le perdite.

Non è un discorso moralistico. La pericolosità sociale del creditore è acclarata, tanto quanto quella dei debitori. Perché è il rapporto creditizio in sé che è pericoloso, in quanto fonte di rischio. E non c’è marchingegno tecnico capace di cancellarlo.

Peraltro tali considerazioni non appartengono alla sfera della filosofia, malgrado l’apparenza, ma a quella dell’economia.

La Banca dei regolamenti internazionali ha di recente rilasciato un bellissimo paper che si intitola proprio “Caveat creditor” (Attenti al creditore), che sottolinea proprio, pur col linguaggio edulcorato dei banchieri, le grandi responsabilità che hanno i creditori nell’attuale crisi del debito. E questo vale per i singoli cittadini quanto per gli stati: “I paesi creditori – scrive l’autore – hanno insieme la responsabilità di evitare di prestare troppo e di realizzare soluzioni cooperative per evitare squilibri eccessivi o prolungati“.

Il testo prende in esame il ruolo dei paesi in surplus strutturale nella difficile opera di riduzione degli squilibri esteri e nota il clamoroso fallimento finora registrato. “Gli squilibri dei saldi di conto corrente – sottolinea – sono cresciuti e gli stock internazionali di asset e debiti sono diventati enormi”.

Il testo cita una dichiarazione, firmata a un gruppo internazionale di economisti, secondo la quale “i mercati finanziari hanno dato chiari segnali circa l’esistenza di uno squilibrio nell’economia globale. Gli Stati Uniti hanno speso molto più di quanto hanno prodotto, ma le economie in surplus si sono affidate troppo a un modello di crescita basato sull’export. Se questi squilibri non saranno corretti, un altro crash dei mercati potrebbe essere più grande di quello che l’ha preceduto”.

Sembra scritto ieri, ma tale allarme risale addirittura al 1987. E’ da allora che praticamente stiamo girando a vuoto.

Anzi, la situazione è pure peggiorata. Negli ultimi dieci anni, nota il paper, gli squilibri globali sono aumentati. I surplus di conto corrente sono radicalmente aumentati per i paesi creditori, segnatamente per la Germania, l’Olanda, la Svizzera, la Svezia, la Cina, il Giappone, mentre sono drasticamente peggiorati i deficit dei paesi debitori, ossia gli Stati Uniti e il trittico Italia, Francia e Spagna. Tali saldi, mostra un grafico elaborato dalla Bis che risale alla fine degli anni ’70, erano praticamente in equilibrio all’inizio degli anni ’80, prima che la grande liberalizzazione dei mercati dei capitali desse inizio alla sbornia del credito facile.

Per limitarci al caso dell’eurozona, vale la pena ricordare che il saldo Target 2, che misura l’andamento dei debiti/prestiti fra i paesi dell’area, ha toccato un picco di 1.000 miliardi nel 2012, per poi risalire intorno ai 750 quest’anno. Significa che Germania e Olanda da soli sono in credito per una somma equivalente nei confronti di Grecia, Irlanda, Italia, Spagna e Portogallo.

Per avere un’idea dell’entità di questa sbornia creditizia globale, basta guardare un altro grafico, che misura l’ammontare degli investimenti internazionali per tutti i paesi dai primi anni ’80 a oggi in relazione al Pil mondiale. All’inizio del periodo tale posizione, quindi asset e debiti, era di poco superiore al 20% del Pil globale. Nel 2012 aveva superato il 150%.

Questa situazione “è sorprendente”, nota l’autore del paper. “I modelli macroeconomici suggeriscono che gli squilibri dovrebbero autocorreggersi”.

In particolare, le ipotesi monetariste prevedono che i surplus espandano l’offerta di moneta e quindi stimolino la domanda fino a che lo squilibrio non si riassorbe, “e questo era chiaramente vero durante il gold standard”. I modelli keynesiani vedono i surplus di conto corrente come un aumento di domanda aggregata che stimola l’import arrivando comunque alla correzione. “In entrambi i modelli, l’apprezzamento del tasso reale di cambio nei paesi in surplus, e il relativo deprezzamente in quelli in deficit, dovrebbe contribuire a correggere gli squilibri”, nota l’autore, che sottolinea quanto ”la realtà sia molto diversa dalle semplici teorie”.

Come mai? “La risposta è nella finanza: la natura del finanziamento esterno degli squilibri crea le sue dinamiche. Le correzioni spesso non avvengono perché le variabili macroeconomiche fanno il loro corso, ma perché c’è un arresto improvviso dei finanziamenti che li avevano resi possibili”. Come dire: la finanza è insieme il male e la cura, come abbiamo visto noi europei negli ultimi due anni.

La finanza stende un velo di Maya sulla realtà, quando tutto va bene e la liquidità abbonda, e poi lo strappa quando scatta il panico.

E comincia la caccia al debitore.

“A un certo punto – scrive la Bis – i creditori hanno paura che i loro crediti non saranno ripagati e iniziano a rifiutare i prestiti e questo spesso accade all’unisono”. Sicché i debitori “devono vendere i loro asset ai creditori o devono generare surplus di conto corrente per ripagarli”.

I debitori, insomma, devono espiare la loro colpa.

E i creditori? “La capacità o la volontà di paesi in surplus di sostenere la loro domanda interna – e quindi accettare di andare verso un disavanzo delle partite correnti – determinerà la
conseguenze per la crescita globale”. Il prezzo della loro colpa dovrebbe essere quello di diventare debitori a loro volta.

Il problema nasce se non vogliono pagare tale prezzo e si limitano ad esigere quello della colpa dei debitori. In tal caso la crescita si arresta.

Anche questo l’abbiamo visto accadere nell’eurozona in questi ultimi anni.

Il paper individua tre squilibri fondamentali nel nostro tempo. Il surplus accumulato dai paesi esportatori di petrolio, lo squilibrio accumulato fra Asia e America, e quello interno all’eurozona, “dove è in atto una crisi delle bilance dei pagamenti causata da un disallineamento dei tassi di cambio reali interni”. Il famoso dividendo dell’euro: “La creazione di una valuta comune ha rimosso il tasso nominale di cambio come strumento di aggiustamento”. “In molti paesi in deficit dell’eurozona i salari sono cresciuti più della produttività e questo ha fatto diminuire la competitività, mentre in Germania l’andamento declinante dei salari reali ha fatto arretrare il consumo privato e ha condotto a un notevole deprezzamento del tasso reale di cambio. Ciò ha condotto a un surplus del conto corrente superiore al 6% del Pil fra il 2006 e il 2012″.

Ma aldilà delle vicende dell’eurozona, è tutto il mondo ad essere sballato. E non basta chiedere il conto ai debitori se anche i creditori non fanno la loro parte. “La recente crisi finanziaria – scrive – è stata provocata dalle politiche sbagliate dei paesi debitori, ma anche i paesi creditori hanno fatto la loro parte”.

Alcuni modelli econometrici hanno mostrato che differenti politiche, per i debitori quanto per i creditori, avrebbero limitato gli squilibri. “In retrospettiva – osserva – i creditori avrebbero dovuto essere più prudenti”. Ma non è certo la prima volta che succede. “La lezione delle crisi degli anni ’80 e ’90 sui mercati emergenti mostra che i prestatori, in particolare le banche dei paesi avanzati, sono stati avventati”.

L’overlending, come lo chiama l’autore, è destabilizzante tanto quanto l’overborrowing.

Come uscirne? Provocare situazioni deflazionare nei paesi in deficit, sottolinea l’autore, è pericoloso, perché rende più difficoltoso pagare i debiti e, alla lunga, può danneggiare i paesi creditori. E’ fondamentale che i paesi creditori si assumano le loro responsabilità, individuando soluzioni cooperative per risolvere gli squilibri.

“La necessità di una maggiore simmetria negli aggiustamenti fra debitori e creditori non è una novità: era il punto centrale della proposta di Keynes per l’organizzazione del sistema monetario internazionale dopo la seconda guerra mondiale ed è il compito del Fondo monetario internazionale, anche se i paesi creditori, che non hanno bisogno dei soldi del Fmi, sono meno sensibili alla sua influenza”.

Senonché la reale capacità del Fmi di attivare i processi di aggiustamento debiti/crediti è stata sempre dormiente.

Alla fine, ciò che risulta chiaro leggendo questo paper è quello che sappiamo già tutti. Debitori e creditori, declinazione finanziaria dell’archetipo poveri/ricchi, sono due facce della stessa medaglia. I debitori/poveri sono i primi ad essere chiamati a pagare il prezzo della loro colpa. Ma poi, se il prezzo è troppo alto, sarà il turno anche dei creditori/ricchi.

Simul stabunt. Simul cadent.

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