Anche se per breve tempo, la scorsa settimana la Industrial & Commerciale Bank of China è stata scalzata dal gradino più alto del podio come istituto con il maggior valore di mercato al mondo. Il primato detenuto da settembre del 2008 è andato per pochi giorni alla Wells Fargo di San Francisco, per poi tornare cinese lo scorso 28 luglio.
Conseguenze della stretta sul creditizia che ha segnato il sistema bancario cinese nelle ultime due settimane. Lo scorso 20 luglio il prestito interbancario cinese ha rischiato di bloccarsi quanto la Banca centrale ha rifiutato di iniettare liquidità nell’economia. I tassi di interesse sono andati in doppia cifra e si è arrivati a paventare che le principali banche del Dragone fossero a corto di liquidità.
Il valore degli istituti cinesi è ai minimi, scrive Bloomberg. Secondo l’agenzia finanziaria le titubanze degli investitori riflettono le preoccupazioni sulla lotta contro il sistema finanziario ombra e sulle misure affinché il credito vada a finanziare l’economia e non ripagare vecchi debiti e speculazione.
I bad loans delle banche commerciali cinesi sono cresciuti per il nono mese consecutivo. In aumento sono anche i prestiti non performativi che hanno toccato un più 20 per cento rispetto all’anno precedente, arrivando nel primo trimestre a 86 miliardi di dollari, lo 0.96 per cento del totale dei prestiti, secondo i dati della China Banking Regulatory Commission. Uno dei nodi è il debito dei governi locali che ricevono credito dagli istituti e lo veicolano in progetti infrastrutturali e speculazione edilizia; investimenti senza ritorni nel lungo periodo. L’altro è il sistema della finanza sommersa in crescita. Secondo Citic Securities, il 97 per cento delle piccole imprese che non hanno accesso al credito si rivolge a questi canali.
Quando dieci giorni fa la Banca centrale rifiutò di immettere liquidità in molti hanno letto il gesto come un modo per spronare le banche a risolvere le storture del sistema. Una posizione resa esplicita dall’agenzia ufficiale Xinhua secondo cui gli istituti non possono continuare a preferire la speculazione all’economia reale.
Intanto se è vero che i mercati reagiscono alla paura e le informazioni possono generare timori, la propaganda, ha scritto il Financial Times, ha già stilato e diramato una lista di parole tabù. La stampa deve spiegare che il mercato ha sufficiente liquidità ed enfatizzare le notizie positive, spiega il documento cui fa riferimento il quotidiano londinese. Così se il termine “cash crunch” continua a essere utilizzato, i toni si sono fatti più sereni.
L’economia cinese non è però destinata a cadere così velocemente, scrive Joshua Kurlantzick del Council on Foreign Relations su Businessweek. Non nega la necessità di riforme: un sistema del credito più trasparente, pulizia nelle banche, un istituto centrale indipendente dalla leadership politica. Sia il presidente Xi Jinping sia il premier Li Keqiang sia il governatore della Banca centrale hanno mostrato l’intenzione di porre mano ai problemi, scrive Kurlantzick.