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La lezione sul Pil che arriva dall’Ocse

L’Ocse ha rilasciato i dati sull’andamento del Pil nel’area nel primo trimestre 2013. La notizia, come si dice in questi casi, è che nell’area il prodotto è cresciuto dello 0,4%, spinto per la gran parte da un aumento dei consumi privati (0,3) e per il resto (0,1) da esportazioni e spesa per investimenti fissi e scorte.

E fin qui potremmo pure essere soddisfatti. Senonché leggendo tutta la nota dell’Ocse scopriamo alcune cose che si danno per scontate, tipo come si componga effettivamente il Pil, e poi possiamo dare un’occhiata più da vicino a quello che ci riguarda più direttamente, ovvero la situazione dell’eurozona e nostra in particolare.

Cominciamo da una premessa. Tutti hanno imparato a declinare la parola Pil, ma temo che solo una sparuta minoranza abbia dimestichezza col suo significato. Di solito ci si accontenta di misurarlo, omettendo di sottolineare come si componga. E questo non è un semplice dettaglio tecnico.

Atteniamoci alla formulazione scelta dall’Ocse, che poi è quella che ricalca lo standard internazionale. Il Pil di uno stato, così come di un’area geografica, viene suddiviso in cinque voci: consumi privati, consumi del governo, investimenti (gross fixed capital formation o GFCF), esportazioni nette, e scorte (inventories). Di ognuna di queste voci viene misurata, in un certo periodo dell’anno, l’incremento di valore registrato rispetto al periodo precedente. E poi si fa la somma degli incrementi percentuali ottenendo il risultato finale.

Quindi più ogni singola voce cresce, più cresce il Pil.

Questa semplice operazione aritmetica, che ormai sovrintende le nostre vite, porta con sé alcune logiche conseguenze.

La prima è che nel migliore dei mondi possibili ogni singola voce dovrebbe crescere ogni volta che la misuriamo per avere un Pil sempre maggiore. Nella realtà ci si accontenta che ne crescano almeno alcune e che il saldo sia positivo.

La seconda è che ogni singola voce ha la stessa importanza delle altre, ai fini del computo. I consumi privati, quindi, valgono quanto i consumi pubblici. Quindi chi parla di spesa pubblica improduttiva ignora il funzionamento dei sistemi statistici di contabilità. Oppure è in malafede.

Terzo, l’export netto è una delle componenti del Pil, ma non l’unica. Un aumento dell’export netto, quindi non è di per sé una garanzia di crescita economica se le altre voci collassano. Quindi chi punta solo sull’export per rilanciare la crescita, prima o poi collassa.

Veniamo ai numeri. L’Ocse, che si compone di 34 paesi, nota che fra il 2011 e il 2012 i consumi privati nell’area, malgrado l’andamento positivo, sono calati dello 0,4%. Nel 2011 erano cresciuti dell’1,1%, nel 2012 solo dello 0,7%. I consumi del governo sono passati dal +0,3% a +0,2%; gli investimenti dal +0,6 al +0,3%, l’export netto dal +0,2 al +0,5%, le scorte erano diminuite dello 0,4% nel 2011 e hanno rallentato la drescita al -0,2% nel 2012.

Se dall’area scendiamo nel dettaglio dei singoli paesi, scopriamo qualcosa in più. In Canada, ad esempio, dove nel primo trinestre la crescita è stata dello 0,6% rispetto al +0,2 dell’ultimo trimestre 2012, il contributo più rilevante l’ha dato l’export (+0,4%), consumi privati, pubblici e scorte hanno totalizzato un +0,1% ognuno e gli investimenti sono in calo altrettanto.

Negli Stati Uniti la riscossa l’hanno suonata i consumi privati, cresciuti dello 0,5%, e le scorte (+0,1%) mentre quelli pubblici sono diminuti (-0,1). Il saldo del primo trimestre è un Pil positivo per lo 0,5% rispetto al precedente trimestre.

Se andiamo in Giappone, l’allentamento monetario della banca centrale, a cui è seguito l’indebolimento dello yen, ha rilanciato i consumi privati (+0,5%)l quelli pubblici (+0,1%) e l’export (+0,4%). Il saldo perciò è positivo per l’1%.

Veniamo all’eurozona. In Francia i consumi privati sono diminuiti dello 0,1%, quelli pubblici sono aumentati altrettanto, gli investimenti sono scesi dello 0,2% e l’export netto pure. Solo il lieve miglioramento delle scorte (+0,2%) ha consentito di archiviare il trimestre con un calo dello 0,2%.

L’Italia è in una situazione simile. I consumi privati sonon calati dello 0,3%. Quelli pubblici sono fermi già da due trimestri, gli investimenti sono calati dello 0,6% e anche l’export va maluccio (-0,1). L’unico dato positivo è quello sulle scorte (+0,3%). Il saldo è negativo per lo 0,6%. Siamo fanalino di coda.

Infine la Germania. I consumi privati sono cresciuti dello 0,4%, quelli pubblici sono fermi da due trimestri (come da noi), gli investimenti sono in calo (-0,3%), l’export è leggermente migliorato (+0,1%) a fronte del calo dello 0,7 registrato nell’ultimo quarto 2012. Le scorte son calate dello 0,1%. Il saldo finale è un risicato 0,1%.

Cosa possiamo concludere dall’analisi di questi dati? Che i consumi privati hanno salvato il Pil dell’area, ma solo grazie a quei paesi dove i soldi girano (Usa, Giappone e Germania) e che quindi sono ingrado di farli arrivare ai privati cittadini. Che tutti i paesi considerati, grazie alla politica di austerità, hanno minimizzato i consumi pubblici (tranne di poco la Francia) e che l’export è migliorato visibilmente solo dove c’è stata svalutazione del cambio (Giappone). Una politica economica espansiva dovrebbe tenerne conto e studiare espedienti per far salire tutte le voci che compongono il Pil.

Tutto il resto è noia.

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