L’unico possibile “rinnovamento etico” dell’Italia-Nazione potrebbe avvenire, secondo quanto afferma Paolo Pasqualucci nel suo ultimo saggio Unita e cattolica. L’istanza etica del Risorgimento e il Rinnovamento dell’Unità d’Italia (Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice/Cooperativa Nuova Cultura, Roma 2013, pp. 102, Euro 11,00), mediante la rifondazione di uno Stato autenticamente cristiano. Questo anche perché il modello laico-democratico è ormai arrivato al capolinea: «Senza contraddirsi – scrive Pasqualucci -, i Cattolici possono riproporsi oggi il rinnovamento dell’unità nazionale secondo l’ideale dello Stato cristiano, che corrisponde alla concezione autenticamente cattolica dello Stato. Un ideale, un modello che in verità si dovrebbe realizzare in ogni nazione, non solo in Italia, poiché la verità rivelata dalla quale esso discende è stata predicata per la salvezza degli uomini» (p. 93).
Il saggio del filosofo cattolico, nato a Roma nel 1938 e già Ordinario di Filosofia del Diritto nell’Università di Perugia, è originariamente apparso con il titolo L’istanza etica alle origini del Risorgimento e dell’Unità d’Italia negli Annali della Fondazione Ugo Spirito (vol. XX-XXI, Roma 2012, pp. 96-154), ed oggi è raccolto in un volume arricchito da una Introduzione (pp. 9-12) del presidente della Fondazione, prof. Giuseppe Parlato. Il quale avverte subito che l’ideale dello Stato cristiano «Non è clericalismo, anzi di questo la proposta di Pasqualucci è l’esatto contrario: non è il potere democristiano, non è la clericalizzazione dello Stato. Se il clericalismo vuole lo Stato dipendere dalla struttura religiosa, qui è la struttura politica che trae fondamento autonomo da un’ispirazione di carattere religioso, ma appunto per questo, concreta, reale, legata al ruolo centrale della persona soprattutto in linea con la tradizione storica dell’Italia, ben prima della sua unificazione» (p. 12).
Si badi bene che la restaurazione dello Stato cristiano non significa cittadinanza od àncora di salvezza solo per chi crede e si riconosce nella Chiesa Cattolica, ma costituisce un baluardo di conservazione di tutta la civiltà e Tradizione occidentale. Innanzitutto perché, ricorda opportunamente Pasqualucci, «Se non prevale la concezione del matrimonio e della famiglia conformi a natura, non c’è società e non c’è Stato che tenga. Se nei nostri ordinamenti non si restaura la legge di natura e divina, siamo destinati all’estinzione o comunque a diventare in un futuro non tanto lontano schiavi dei popoli prolifici» (p. 87).
Rinnovare l’unità nazionale in uno Stato cristiano, inoltre, «[…] non significa proporre un nuovo nazionalismo. Non ci sono chimeriche superiorità o “primati” da rivendicare né territori da conquistare; […] Di fronte alla globalizzazione incalzante, con tutti i suoi mali, non dovrebbe ognuno cercare di salvaguardare l’unità della Patria […] preoccupandosi innanzitutto di instaurarvi l’ordinamento politico e morale che piace a Dio?» (p. 95).
La visione di Pasqualucci si rende discutibile quando individua fra gli avversari del progetto di ricostruzione dello Stato cristiano la «[…] Gerarchia cattolica attuale, figlia del Vaticano II», perché «difende una cosiddetta “sana laicità” dello Stato, che rispetti la libertà di coscienza e di religione, consentendo appunto il “dialogo”» (pp. 91-92). Sana laicità e Stato cristiano vanno invece di pari passo, nel senso che tanto la prima quanto il secondo si edificano sul terreno della legge naturale, altrimenti si darebbe vita ad uno Stato confessionale esclusivista. La legge naturale, invece, è comprensibile dalla retta ragione di ciascuna persona umana, come lo stesso Pasqualucci, del resto, ha spiegato in tanti suoi studi di filosofia del diritto, in consonanza significativa con un maestro del diritto naturale e cristiano come Sergio Cotta (vedi ad esempio il volume collettaneo con contributi tanto di quest’ultimo quanto di Pasqualucci Persona e norma nell’esperienza giuridica, Nomoi, Roma 1986).
E in quella Gerarchia cattolica attuale che avverserebbe lo Stato cristiano come si fà ad annoverare quel papa Francesco che rivendica proprio alla politica popolare tradizionale di difendere la dignità e l’umanesimo del lavoro contro la plutocrazia e l’economicismo? Nella catechesi dell’ultima festa di san Giuseppe lavoratore, ad esempio, Bergoglio ha ribadito che «Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa; penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale» (cit. in “Il lavoro fa parte del piano di amore di Dio“. La catechesi di papa Francesco durante l’Udienza Generale di oggi, in Agenzia Zenit, 1° maggio 2013).
Se, come afferma giustamente Pasqualucci «[…] il Cattolicesimo è precipitato in una crisi così grave, in modo evidente da quando la Gerarchia ha voluto “aggiornarsi” agli pseudo-valori del Secolo, a partire dal “pastorale” Concilio ecumenico Vaticano II» (p. 22), non è perché l’episcopato cattolico «[…] ha mutato il senso della missione della Chiesa» (ibidem), ma piuttosto perché, ha scritto il filosofo Piero Vassallo commentando una sua precedente opera sulla Metafisica del Soggetto (Roma 2010), «Perché Kant gode di tanto prestigio nei circoli del progressismo cattolico [e] Paolo Pasqualucci, in un saggio edito dalla Fondazione Capograssi, ha demolito le colonne portanti della filosofia kantiana: perché nel mondo cattolico circolano ancora pensieri ispirati dalla pia e infantile soggezione nei confronti del criticismo? Per quale breccia i rottami del pensiero moderno sono penetrati nella teologia postconciliare per generare errori datati, dubbi senza fondamento, immotivata sfiducia nella tradizione e false attese?» (Piero Vassallo, Il Concilio Vaticano II e il diritto naturale. La verità cattolica e il controcanto della pastorale, in Riscossa Cristiana, 13 marzo 2011).