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L’Austria felix traviata dalle cattive compagnie

L’Austria somiglia a un ragazzo di buona famiglia finito nei guai per colpa delle cattive compagnie.

Nel suo ultimo economic surveys dedicato a questo piccolo paese annidato fra l’Italia e la Germania, l’Ocse ci ricorda che l’Austria “dispone di notevole benessere materiale e alta qualità della vita”. “La costante crescita del Pil-pro capite – aggiunge – si è combinata con un basso livello di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, con alti standard ambientali e aspettative crescenti di durata della vita”. In questo sorta di paradiso terrestre ci sono pure “condizioni favorevoli per un settore business dinamico” e “generosi benefici in denaro per le famiglie” ai quali si aggiunge una robusta offerta di servizi pubblici.

Tutto questo con una disoccupazione intorno al 4,5%, pure al prezzo di uno scivolamente ormai strutturale verso i lavori a basso reddito e l’aumento dei lavori part time, un deficit fiscale ben sotto il fatidico 3% del Pil, un debito pubblico che, per quanto in crescita, è previsto non superi il 75% del Pil (che nel 2012 è stato di 309 miliardi di euro a prezzi correnti) e un saldo di conto corrente positivo che nel 2012 è stato l’1,8% del Pil ed è previsto arrivi al 2,9% nel 2014.

Una situazione macroeconomica invidiabile.

“La popolazione austriaca – conclude l’Ocse – ha combinato la propria vocazione per la stabilità con una fiorente economia capace di perseguire una strategia attiva di globalizzazione”.

Prima che facciate la valigia per traslocare, suggerisco però di dare un’occhiata a un altro documento, scritto stavolta dalla banca centrale austriaca e pubblicato di recente, ossia il financial stability report di giugno 2013.

Leggendolo si scopre che anche l’Austria ha i suoi PIIGS, solo che si chiamano CESEE. Non sono i paesi del Sud, come quelli che hanno fatto penare la Germania. Ma quelli centro orientali (Central, Eastern and South-Eastern Europe), a comiciare dall’Ungheria. Sono le cattive compagnie che hanno inguaiato il bravo ragazzo austriaco fin dai tempi dell’impero asburgico. Lo stesso Ocse scrive che “Uno shock severo in uno o più di questi paesi, verso i quali le banche austriache sono sostanzialmente esposte può deteriorare le condizioni creditizie all’interno del paese”.

Anche l’Austria, insomma, deve fare i conti con un settore bancario “relativamente grande in rapporto all’economia del paese” (il 380% del Pil) che ha finito col replicare verso i paesi centro-orientali il giochetto che i paesi del nord europa hanno fatto con i Piigs (ora Gipsi). Ossia hanno prestato molto denaro e ora le banche austriache sono ostaggio di tali prestiti.

I dati ci dicono che nel 2012 la banche austriache erano esposte per appena un 5,1% nei confronti dei PIIGS, circa 16 miliardi di euro, mentre l’esposizione ammontava a dieci volte tanto nei confronti dei CESEE aderenti all’Ue (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Repubblica Slovacca, Slovenia, Repubblica Ceca, Ungheria), ossia 150,67 miliardi: il 48,6% del Pil. Altri 35 miliardi, l’11,3% del Pil, sono stati prestati ai CESEE non aderenti all’Ue (Bosnia Erzegovina, Croazia, Montenegro, Macedonia, Serbia e Turchia). Altri 19 miliardi, il 6,1% del Pil, sono andati a Azerbajian, Kazakistan, Russia e Ucraina.

Il top dell’esposizione, tuttavia, è nella Repubblica Ceca, oltre 47 miliardi, il 15,3% del Pil, seguita dalla Romania (26,8 mld, l’8,7% del Pil) la Repubblica Slovacca (24,5 mld, il 7,5% del Pil) e l’Ungheria (19,8 mld, il 6,4% del Pil).

Questa situazione, ricorda l’Ocse, ha costretto il governo austriaco a correre ai ripari introducendo misure per disinnescare la bomba di questi crediti concessi con grande generosità che adesso assomiliano a una mina vagante che spaventa il paradiso austriaco. Fra l’altro, sono state nazionalizzate due banche di media grandezza, dopo l’esplosione della crisi, e sono state adottate misure tese a prevenire la formazione di una bolla nei prestiti. A maggio 2013 è stato approvata una proposta di legge per regolare l’intervento e l’eventuale ristrutturazione delle banche.

Tali interventi hanno leggermente migliorato il leverage ratio delle banche, sceso dal picco del 2008 (a quota 24) ma ancora alto (arrivato a 16). Fino ad oggi lo stato austriaco ha speso 8 miliardi di euro per rafforzare il capitale delle sue banche e fornito garanzie per altri 12 miliardi.

Ma rimangono i problemi sul fronte estero, visto che l’esposizione non accenna a diminuire.

Il rapporto della banca centrale ci da qualche informazione in più. Mentre la situazione creditizia interna sta migliorando, “la qualità del credito nelle banche controllate nell’area CESEE continua a deteriorarsi”.

In particolare la quota dei crediti deteriorati (Non Performing Loans) è parecchio aumentata fra fine 2011 e fine 2012 in quasi tutti i paesi centro-orientali, con un picco in Romania, dove si è passati dal 23,3% al 29,9%, Ucraina (dal 14,7% al 19,8) e Slovenia (dall’11,3 al 14,5%). Tale peggioramento si è inserito in un contesto di rallentamento economico, che ha visto la crescita nell’area CESEE passare dal +2,7% del secondo trimestre 2012 al +0,9% dell’ultimo. Quattro di questi paesi hanno addirittura riportato una crescita negativa e l’occupazione ne ha risentito, salendo oltre il 10% in più della metà di loro.

Anche per i CESEE, insomma, si sta replicando quanto accaduto per i PIIGS: la disoccupazione aumenta, i salari reali calano e i prezzi immobiliari pure. E se tutto ciò può far bene alla competitività, di sicuro non fa bene ai bilanci delle famiglie. Avere meno risorse rende loro più difficile ripagare i debiti. Ed ecco perché aumentano i NPLs.  E allo stesso tempo fa cadere i consumi privati. Ed ecco perché diminuisce il Pil.

A pagare il conto di questa potenziale instabilità sono le banche dell’area, molte delle quali direttamente controllate dalle banche austriache, che devono fare i conti con un pesante indebitamento e un margine di profitto che si riduce ogni anno.

In Romania la profittabilità della banche è addirittura negativa già da agosto 2011 a causa del costo crescente del funding, mentre in Ungheria la stessa situazione è stata provocata dalle politiche del governo, che ha scoraggiato l’indebitamento in valuta estera delle famiglie. Settore bancario in perdita anche per la Slovenia per tutto il 2012, mentre l’Ucraina è tornata al profitto, anche se ridotto (lo 0,4% degli asset).

Le grane importate dall’estero, si inseriscono in un contesto finanziario interno ancora sano, ma minato dalla quota ancora elevata di debiti contratti in valuta estera, per lo più in franchi svizzeri, da famiglie e imprese austriache che sul totale pesano rispettivamente il 23% (dato 2013, l’8% in meno rispetto al 2008) e il 7%. Questo a fronte di un livello di indebitamento delle famiglie arrivato al 90% del reddito e che vale 168,6 miliardi. Un fattore di instabilità finanziaria a cui di recente si è affiancato il trend crescente dei valori immobiliari, che nell’ultimo trimestre del 2012 sono aumentati dell’8,4% e addirittura del 12,7% a Vienna.

Insomma, il mondo intorno a lui sta diventando pericoloso, ma il bravo ragazzo austriaco è ancora al sicuro.

Basta che non esca di casa.

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