Illustre Presidente Boldrini,
Mi permetto di scrivere questa lettera aperta dopo avere letto quanto riportato dalla stampa sullo scambio di missive che L’hanno portata a rifiutare l’invito pervenuteLe da Sergio Marchionne, Amministratore Delegato di Fiat S.p.A., in merito alla visita allo stabilimento Sevel in Val di Sangro, lo stesso stabilimento in cui la Fiom sta denunciando il patto tra azienda e le principali sigle sindacali volto a parametrare i premi di produttivitá dei lavoratori con le ore di effettiva presenza lavorativa in fabbrica. Peraltro coincidenza vuole che Lei abbia incontrato la stessa Fiom (tra l’altro il medesimo sindacato che si oppone ad accordi tra dipendenti e datori di lavoro volti al salvataggio di un’impresa in provincia di Belluno) alla vigilia del suddetto rifiuto, una coincidenza che i commentatori hanno voluto leggere come posizione di parte, incompatibile, come a Lei sicuramente noto, con il Suo ruolo istituzionale.
Innanzitutto non posso che apprezzare la coerenza che emerge comparando il Suo atteggiamento nei confronti dei vertici del primo gruppo industriale Italiano con l’immagine che ha saputo proiettare nei Suoi quasi 4 mesi trascorsi come terza carica della Repubblica Italiana, caratterizzati da un forte interesse nei confronti dei diritti delle minoranze del Paese e da una minore attenzione nei confronti della situazione di quella parte della nostra Italia che ne costituisce la maggioranza.
In questa mia missiva, illustre Presidente, mi permetto di richiamare la Sua attenzione nei confronti di alcune linee di tendenza della situazione Italiana che da un’analisi della Sua azione istituzionale potrebbero apparire come oggetto di colpevole amnesia.
In primo luogo, nonostante le Sue dichiarazioni di sorpresa in merito alla consistenza numerica dei poveri nel Paese nel quale Lei, all’inizio di una breve ma intensa carriera politica, si trova a presiedere uno dei due rami del Parlamento, sono certo che non Le sia sfuggito che una delle principali emergenze, accanto a quelle a Lei care relative alle condizioni degli immigrati ed ai diritti civili delle coppie omosessuali, sia quella relativa al declino economico e sociale della classe media, un tempo locomotiva dello sviluppo economico del Paese ed oggi terreno di cultura di nuova povertá. Il suddetto declino, accanto ai fattori esogeni portato della crisi economica che ha investito l’Occidente a partire dal 2008, é funzione della perdita di competitivitá della nostra economia in rapporto a quelle dei nostri partner commerciali. Sono certo che Le sia noto che questo trend sia la risultante di decenni di disinteresse da parte delle elite politiche, di cui Lei oggi si trova a fare parte, in merito ai bisogni delle imprese di fronte alla crescente pressione competitiva dei mercati originati da quella globalizzazione che ha saputo liberare milioni di persone nelle aree più povere del pianeta dalle condizioni di povertá più estrema e, contemporaneamente, imposto riforme nei Paesi più industrializzati. Questo disinteresse ha determinato una progressiva ma inarrestabile desertificazione del tessuto produttivo del Paese che ha leso il primo e fondamentale diritto dei lavoratori, che Lei con tanto vigore richiama, vale a dire quello di rimanere tali.
Sicuramente Lei é consapevole che il lavoro non é variabile indipendente dall’impresa e che un sistema imprenditoriale dinamico costituisce la pre condizione di un mercato del lavoro in grado di tutelare i diritti dei lavoratori, premiandone impegno e merito. Sono altresì certo che Le sia noto che la flessibilizzazione del mercato del lavoro in entrata ed uscita operata dai Paesi Nord Europei, culla della tutela dei diritti delle minoranze a Lei tanto care, sia alla base del successivo successo economico che si rispecchia in tassi di disoccupazione inferiori al 6%.
Analogamente Le é noto che il costo del lavoro, per il quale Lei osteggia ogni pressione al ribasso, non sia tanto funzione del salario percepito dai lavoratori, motore dei consumi nazionali, giá ai minimi in Europa tanto da evitare ogni tentazione nel mondo imprenditoriale in merito a ritocchi al ribasso, ma della relativa componente fiscale e previdenziale che finanzia quella spesa improduttiva generata dalla burocrazia e dalle rendite di posizione anche, ma non solo, sindacali che Lei e, soprattutto, il Partito a cui Lei fa riferimento, tende a non porre al centro di un’idea di riforma dello Stato verso un modello più giusto e tutelante di lavoratori.
In secondo luogo a Lei é ben noto che nessuno statista Occidentale, a partire dal Presidente Obama che Lei spesso elogia per quanto riguarda l’attenzione nei confronti dei diritti degli immigrati, mai si rifiuterebbe di visitare un impianto produttivo, a maggior ragione se riconducibile, direttamente o ancora di più in termini di indotto, al principale datore di lavoro privato (il quale, calandosi nel caso Italiano, ha avuto, volenti o nolenti, un ruolo centrale nella storia di industrializzazione di un paese un tempo agricolo ed oggi – o forse un tempo – tra le maggiori potenze economiche mondiali) in quanto conscio che il benessere di un Paese é funzione della capacitá delle sue imprese di produrre ricchezza e lavoro. Senza imprese non esiste lavoro e senza lavoro é inutile parlare di diritti dei lavoratori, illustre Presidente. E senza imprese e mercato non esiste ascensore sociale che consenta a chi nasce meno privilegiato di realizzare i propri obiettivi.
Infine la Sua prestigiosa carriera presso la FAO e l’ONU avrá sicuramente creato in Lei una sensibilitá in merito alla necessitá di separare gli interessi personali anche intesi come attivitá di propaganda a favore degli azionisti politici che Le hanno consentito, senza passare dalle Primarie e tramite meccanismi di cooptazione figli della distorta legge elettorale di questo Paese, di entrare in Parlamento e, successivamente, di presiederLo, rispetto ai doveri istituzionali che Le impongono di rappresentare la nazione e non solo una parte, peraltro esigua, della stessa.
Concludo, illustre Presidente, con l’auspicio che l’amore di Patria e la volontá di affrontate l’impegno di rappresentare le istituzioni repubblicane in un momento così difficile che Lei ha saputo porre al centro del Suo discorso di insediamento, in cui ha richiamato altresì la risorsa costituita dagli imprenditori di questo Paese, passi dal comprendere che piuttosto che selezionare gli inviti ad apparire in merito all’opportunitá politica si debba dialogare con chiunque abbia un progetto di rinascita, purché sia all’insegna del merito e della lotta a chi, al riparo di una rendita di posizione, frena ogni attivitá riformatrice.
Con i miei rispettosi saluti.
Massimo Brambilla