Con l’arresto il 17 luglio della famiglia Ligresti, nell’ambito dell’inchiesta su Fondiaria-Sai, è un po’ come se calasse il sipario sul vecchio capitalismo di relazioni tanto caro alla finanza e alla politica italiane. E pensare che soltanto fino a poco più di un anno fa Jonella Ligresti sedeva niente meno che nel consiglio di amministrazione di Mediobanca.
Gli anni sulla vetta economico-finanziaria
Sì, perché sempre fino a poco più di 12 mesi fa alla famiglia siciliana faceva ancora capo un giardinetto di partecipazioni nel principali salotti finanziari e, in generale, nei centro nevralgici del potere economico-finanziario italiano che il patron Don Salvatore aveva messo insieme negli anni a forza di rapporti, favori forse ricambiati e amicizie altolocate. E così si spaziava da Mediobanca a Rcs, passando per Pirelli e Alitalia. Per non parlare, poi, del settore immobiliare, tra le grandi passioni dell’ingegnere siciliano, che, come spiega il giornalista e saggista Stefano Cingolani nel suo blog, non si dedicò tanto alla costruzione di case come i semplici palazzinari, quanto piuttosto alla rimessa in sesto di zone di periferia, come accaduto con la vecchia Fiera di Milano. Insomma, il gruppo Fonsai spaziava – e per molti aspetti spazia tuttora – dal core business assicurativo a quello immobiliare, passando per la finanza e spesso anche per tutta una serie di attività collaterali (come ad esempio quella degli alberghi attraverso Atahotels).
L’arresto dei Ligresti mette la parola “fine” al capitalismo di relazione
Il saggista Giancarlo Galli vede nell’arresto della famiglia Ligresti la fine del vecchio capitalismo all’italiana e dei complessi intrecci di partecipazioni. “Salvatore Ligresti – fa notare Galli in una conversazione con Formiche.net – aveva fatto gran parte della sua fortuna come uomo di riferimento di Mediobanca e in particolare del suo uomo forte della seconda metà del secolo scorso, Enrico Cuccia. La famiglia siciliana, negli anni, ha accumulato tutta una serie di partecipazioni che serviva a garantire gli equilibri di un sistema che non esiste più e che è entrato in crisi – aggiunge Galli – sia per la non semplice congiuntura economica sia per la mancanza di un grande regista delle operazioni come all’epoca fu lo stesso Cuccia”.
In dodici mesi il mondo precipita
Nel giro dell’ultimo anno, come detto, per la famiglia siciliana è cambiato il mondo. Il il loro gruppo, Fondiaria-Sai, controllato attraverso la holding Premafin, tramite una complessa operazione di salvataggio condotta sotto la regia delle banche creditrici Mediobanca e Unicredit, è finito in mano a Unipol. Per le casseforti dei Ligresti collocate a monte di Premafin, Imco e Sinergia, che avevano in pancia molti degli asset immobiliari del gruppo e che spesso e volentieri servivano a triangolare operazioni in odore di conflitto di interessi con le società quotate in Borsa, più di un anno fa i Pm hanno chiesto il fallimento. Il 17 luglio, poi, il colpo di scena finale, con l’arresto della famiglia di Paternò e dei manager a loro vicini.
Con la mossa del fondo Amber l’inizio del declino
Volendo trovare un momento in cui inizia ufficialmente il declino dell’impero dei Ligresti, si potrebbe andare a ritroso fino all’ottobre del 2011, quando il fondo Amber, azionista di Fonsai, presenta una denuncia per “fatti censurabili” ex articolo 2408 del Codice civile al collegio sindacale della compagnia assicurativa. Il collegio, a sua volta, a marzo, in una relazione di quasi 100 pagine, dà conto degli esiti dell’attività di indagine svolta. Si alza così il velo su tutta una serie di operazioni incrociate, in gergo finanziario “operazioni con parti correlate”, e in odore di conflitto di interessi tra le aziende quotate e quelle non quotate, attraverso uno schema che, per la gioia (ovviamente di fare per dire) dei piccoli azionisti, spesso e volentieri vedeva flussi di denaro viaggiare dalle prime alle seconde.
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