L’ex generale dei Ros dei Carabinieri Mario Mori è stato assolto dall’accusa di favoreggiamento aggravato nei confronti di “Cosa Nostra”. L’accusa contestava a Mori di non aver arrestato Bernardo Provenzano nell’ottobre 1995, consentendogli di restare latitante. Ipotesi, dunque, caduta.
La formula assolutoria scelta dal tribunale di Palermo è “il fatto non costituisce reato”. Ritenuto non colpevole anche il coimputato di Mori, il colonnello dei carabinieri Mauro Obinu. Per quest’ultimo, l’accusa aveva chiesto sei anni e mezzo di carcere e nove, invece, per Mori.
L’accusa barcollante
Secondo la procura di Palermo, Mori avrebbe evitato l’arresto di Provenzano, per ottemperare al patto siglato tra stato e mafia. Un atto che, nella requisitoria, i pm avevano definito figlio “di una scelta di politica criminale sciagurata per fare prevalere le esigenze di mediazione, favorendo l’ala ritenuta più moderata di Cosa nostra, quella di Bernardo Provenzano”.
Teoremi che cadono
Cade dunque il teorema d’accusa sostenuto in questi cinque anni di processo dai pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia (prima che quest’ulltmo scendesse in politica). Una tesi costruita sulle deposizioni di Massimo Ciancimino – figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito – e dal colonnello dei Carabinieri Michele Riccio. E’ chiaro che bisogna aspettare che siano depositate le motivazioni della sentenza.
Monumenti che cascano
Maggior luce arriverà, forse, solo a conclusione dei processi di appello e cassazione che certamente si celebreranno. Per ora, però, il teorema della trattativa scricchiola, come l’attendibilità di Massimo Ciancimino. C’è da dire, inoltre, che proprio su questo processo l’ex magistrato Antonio Ingroia ha costruito la propria popolarità. Una popolarità che ha provato a spendere alle ultime elezioni politiche con risultati già allora non certo lusinghieri.
Mario De Pizzo,
autore dell’e-book
La trattativa fallita. Il decreto Conso e il crollo delle due repubbliche
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