Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi, apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Il luogo comune legato all’affaire kazako, che da settimane tiene banco in Italia, è che tutto sia stato fatto dal governo per difendere i nostri interessi economici nel paese euroasiatico. Ma si tratta di una convinzione che finisce per non tener conto dell’effettiva realtà. Ad Astana l’irritazione degli alti vertici dello stato nei confronti del clamore internazionale suscitato dalla vicenda dell’espatrio della moglie e della figlia dell’ex oligarca Ablyazov è ormai palesemente manifestata. Anche l’ambasciatore italiano nella capitale kazaka è stato informato sul punto. E ora il rischio, di questa gestione improvvisata di una vicenda tipica della geopolitica globale, è proprio quello che a pagare il conto siano le imprese italiane con interessi in Kazakistan. In primis l’Eni, magari penalizzata dal governo di Astana che non ha più alcuna voglia di apparire troppo accondiscendente o amico agli occhi dell’opinione pubblica internazionale con “gli italiani”.
Sarebbe una beffa vera, perché furono proprio i tecnici dell’Eni a scoprire qualche anno fa, a riprova che gli italici sono dei primi della classe, il più grande giacimento rinvenuto negli ultimi quaranta anni sull’intero pianeta. Kashagan è probabilmente anche l’ultimo giacimento petrolifero ascrivibile alla categoria di quelli giant. Ovvio, quindi, che gli interessi internazionali siano più che mai accesi sulle ricchezze kazake.
Nursultan Nazarbayev, presidente da sempre del Kazakistan indipendente, era il segretario del partito comunista kazako. Figlio di un contadino analfabeta, appartenente alla tribù kazaka russizzata durante il comunismo (le altre due lo furono in epoca zarista), è espressione della meritocrazia della rivoluzione sovietica che, al pari di quella francese, si riprometteva di esportare i migliori valori dell’uomo. Ha una visione panrussa della difesa degli interessi del suo paese, tanto che fu il primo capo di stato dell’ex Urss a proporre una unione euroasiatica che Boris Eltsin rifiutò. Due anni fa Vladimir Putin ha cambiato rotta e ha firmato un accordo di cooperazione militare con il Kazakistan. La vicenda della Libia con il rapido cambio degli equilibri politici sotto la spinta di Usa, Francia e Uk (tutti paesi con multinazionali in competizione con Eni) deve aver fatto riflettere non poco Nazarbayev, tanto che oggi un attacco militare ad Astana equivale a un attacco a Mosca.
In questo scenario così sofisticato e complesso vanno salvaguardati gli interessi dell’Eni, la più grande multinazionale italiana. Procedere con analisi di superficie o con il pressappochismo del “dagli al tiranno” non aiuta a capire la totalità degli interessi, soprattutto di quelli britannici, in gioco.