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Papa Francesco in Brasile tra scogli economici e spirituali

Un Papa che sale la scaletta dell’aereo portandosi la propria borsa certamente non si era ancora visto. Francesco ha voluto regalare un’altra “prima” al mondo, dei fedeli e non. E’ l’immagine plastica di chi ha messo mano alla cassetta degli attrezzi fin dall’inizio del proprio pontificato, per provare a rimodulare – e qualcuno dice anche a demolire per poi ricostruire –  ciò che non va nella Chiesa di Roma. Se ne avrà probabilmente la conferma anche durante il viaggio apostolico di Rio de Janeiro, il primo dall’elezione al soglio di Pietro, per la Giornata Mondiale della Gioventù, iniziata oggi ufficialmente, perché Jorge Mario Bergoglio – che viene da quell’America Latina definita da Paolo VI nel 1968 come il “continente della speranza” – sa più di ogni altro che cosa lo attende in Brasile.

Le leggende attorno al Paese carioca sono fiorite in questi ultimi anni, grazie soprattutto ai dati di crescita del Pil, che lo avevano inserito a buon diritto nel gruppo delle economie emergenti assieme a Russia, India, Cina e Sudafrica (Brics) e sembravano presentarlo come la nuova locomotiva in grado di trascinare fuori dalle secche della stagnazione anche molti altri stati latinoamericani. Invece, proprio in Brasile, covavano sotto la cenere problemi di carattere economico e spirituale che certamente oggi non possono lasciare indifferenti il Pontefice e la Chiesa cattolica.

I primi si sono rivelati espressamente nel corso della Confederations Cup di metà giugno e hanno portato in piazza contro il governo circa 3 milioni di brasiliani. Si è trattato, allora, della manifestazione di un malcontento per alcune misure giudicate troppo drastiche (come l’aumento del biglietto dei trasporti pubblici), mescolato alla presa di coscienza della debolezza delle riforme promosse a partire dai governi di Ignacio Lula, e proseguite con Dilma Rousseff, basate essenzialmente su sussidi ai poveri (come la cosiddetta “borsa famiglia”), che hanno sì trasformato migliaia di indigenti in nuova classe media, ma non sono stati in grado di far fronte alla crisi, all’aumento dell’inflazione, e di conseguenza all’arresto dei consumi e al blocco della produzione industriale. Circostanze di disagio e ingiustizia sociale che hanno trovato conferma nelle parole dell’arcivescovo di San Paolo, quel cardinale Odilo Pedro Scherer, che i borsini vaticani davano nella rosa dei papabili all’ultimo conclave come candidato dell’ala cosiddetta “bertoniana” all’interno della curia, e che ha invece poi dovuto lasciare il passo all’avanzata del gesuita Bergoglio.

Se l’economia è certamente uno degli scogli della missione papale, e Francesco lo ha implicitamente ricordato sul volo tra Roma e Rio, parlando nel consueto appuntamento con i giornalisti del pericolo di avere oggi “una generazione di giovani che non ha avuto lavoro”, altrettanto spinosa è la situazione di crisi della fede che attanaglia il Brasile (e non solo). Secondo i dati dell’ultimo censimento sulla religione, pubblicati dal quotidiano Folha de São Paulo, la percentuale di chi si dichiara cattolico è oggi appena del 57%, contro oltre il 90% di circa cinquant’anni fa. Le cause sarebbero il crescente sviluppo delle chiese evangeliche e pentecostali, vicine al 30% di aderenti, e l’avanzare dell’ateismo di chi si dichiara “senza religione” (circa il 17% nella sola Rio).

Ma non c’è solo questo, fanno sapere alcune fonti all’interno delle Mura leonine. Perché – si dice – se i gruppi evangelici e pentecostali, tra i quali spiccano le “Assemblee di Dio”, crescono (talvolta grazie ad approcci di tipo “commerciale”, come promesse di successo nella vita privata e nel lavoro in cambio di un’adesione fideistica totale), la Chiesa cattolica in Brasile non può ritenersi immune da una sorta di responsabilità di “omesso controllo”. Da un lato, infatti, anche il cattolicesimo tradizionale sarebbe stato influenzato da nuove forme di espressione religiosa avvicinandosi, per esempio, ai movimenti cosiddetti carismatici, come la Comunità “Cançao Nova”, fondata nel 1978 da don Jonas Abib e oggi riconosciuta dal Pontificio Consiglio per il Laici come “associazione internazionale di fedeli”; dall’altro le stesse comunità cattoliche risulterebbero spesso troppo separate tra loro, con il conseguente rafforzamento dei numerosi movimenti ecclesiali presenti (per esempio, Comunione e Liberazione, o la crescita del Cammino neocatecumenale), o di fedeli che si coagulano attorno alla capacità di attrazione di singoli gruppi parrocchiali. Si tratta di una parcellizzazione che, se confermata, contrasterebbe con le conclusioni di quel documento finale del Celam (Conferenza generale latinoamericana), tenutosi ad Aparecida nel 2007, al quale Bergoglio tiene moltissimo, e che invita non alla separazione ma all’unità di comunione e di fede. Che la Chiesa si appresti a un nuovo “mea culpa” non è dato sapere: certo sarà proprio al Santuario di Nostra Signora della Concezione di Aparecida che Papa Francesco terrà uno degli appuntamenti più attesi, e a questo punto forse decisivi, della Gmg 2013.


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