Secondo la magistratura doveva trattarsi di un “complotto” contro il Papa. E, infatti, più di qualcuno all’interno e al di fuori delle Mura leonine sostiene che il “caso Poggi” poteva trasformarsi in una bomba a orologeria proprio alla vigilia di nomine importanti da parte del Pontefice e del viaggio in Brasile per la Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro.
Del resto, in una settimana che ha visto tornare alla ribalta dell’attenzione mediatica l’Istituto per le Opere di Religione (Ior) e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), non poteva mancare la pedofilia. Ma se gli elementi raccolti dall’autorità giudiziaria a carico di Patrizio Poggi – l’ex sacerdote ora agli arresti per “calunnia aggravata e continuata” che si è eretto in questi giorni ad accusatore di una presunta organizzazione criminale strutturata nel reclutamento e nella prostituzione di minori a vantaggio di numerosi prelati della capitale e della Curia romana – saranno confermati, il caso segnerà probabilmente che l’era del pentitismo sta passando di moda e che i semplicistici accostamenti tra sacerdozio e reati a sfondo sessuale forse sono destinati a dissolversi.
Il caso Poggi
Eppure gli ingredienti per lo scandalo (non solo nazionale) sembravano essere tutti sul tavolo: un ex prete, Patrizio Poggi, appunto – già parroco della chiesa di San Filippo Neri in Roma e da poco uscito di galera per una condanna rimediata nel 1999 a otto anni di reclusione (poi ridotti a cinque) per abusi sessuali sui minori, e successivamente sospeso a divinis dal Vaticano – che “per il dovere di tutelare la Santa Chiesa e la comunità cristiana” denuncia una organizzazione criminale, gestita da un ex carabiniere, dedita allo sfruttamento della prostituzione minorile in favore di prelati della capitale; due testimonianze autorevoli, tra le quali spicca quella di monsignor Luca Lorusso, consigliere dell’ambasciata della Santa Sede presso l’Italia; e i grandi mezzi di informazione (La7, Il Fatto Quotidiano e altri in pole position) nel ruolo di giudici unici, con il cardinale vicario Agostino Vallini unico difensore, convinto da subito della calunnia ai danni della Chiesa e della non veridicità delle affermazioni di Poggi “mosso forse da spirito di rivalsa o risentimento personale”.
E così è. Poggi viene arrestato in poche ore, per aver “concepito e attuato un piano calunnioso”, dopo che gli era stata rifiutata la reintegrazione nella comunità ecclesiale, promuovendo per ritorsione “iniziative ricattatorie”, e progettando anche una sorta di “sordido complotto”, come specificato dal gip Aldo Morgigni, “al fine di destare scandalo con risonanza potenzialmente mondiale per il coinvolgimento finanche dei più stretti collaboratori della Curia romana e, indirettamente, del Sommo Pontefice”.
L’epoca dei corvi è finita?
Che non si sia trattato della classica favola a lieto fine, però, è testimoniato dal fatto che gli ambienti vaticani si stanno ancora interrogando sulle modalità di svolgimento della vicenda; sul perché anche alcuni ecclesiastici “di rango” abbiano sposato tesi tanto gravi quanto dubbie; e su come ancora una volta la gestione mediatica della notizia sia scivolata sul rispetto della dignità delle persone e sulla verifica dei fatti.
“Disinformazione, diffamazione e calunnia sono peccato”, aveva detto Francesco qualche settimana fa in una messa mattutina a Santa Marta. L’opera di pulizia perseguita da Bergoglio, in continuità con quanto fatto in materia di pedofilia e abusi sessuali da Ratzinger, come cardinale e come Papa, è destinata a colpire non solo l’interno della Chiesa, come naturale, ma anche chi ha messo la comunità dei credenti nel mirino, interpretando l’imperativo della trasparenza e della “pulizia” a uso e consumo di interessi e carrierismi personali, gli stessi che Bergoglio non perde occasione di condannare con cadenza quasi quotidiana. Come dire: l’epoca dei “corvi” che parlano “per il bene della Chiesa” è finita. E Francesco non starà fermo a farsi divorare.