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Si prepara l’attacco alla moneta egemone

Le avvisaglie sono talmente numerose che ormai è difficile non farci più caso.

L’ultima è arrivata il 28 giugno, quando il governatore della Banca centrale cinese Zhou Xiaochuan, parlando al Lujiazui Forum di Shangai, ha detto a chiare lettere che “la crisi finanziaria globale ha messo in evidenza che il sistema monetario e finanziario internazionale deve essere riformato. Mano mano che le economie emergenti diventano più attive nel commercio mondiale e nei mercati finanziari, avranno più voce in capitolo”.

Dieci giorni prima in un meeting organizzato dalla banca centrale brasiliana dal titolo “Il ruolo dell’America Latina nella nuova architettura monetaria e finanziaria internazionale”, Anselmo Teng, presidente dell’autorità monetaria di Macao, ha presentato una relazione intitolata “L’ascesa delle nuove valute in un modo multipolare”. E leggendo il suo discorso appare chiaramente che le economie emergenti ormai mordono il freno. Sono stanche di subire i rovesci delle crisi e di pagarne il conto. “L’uso estensivo delle tradizioniali valute di riserva – dice Teng – ha creato incertezze negli scambi bilaterali fra i paesi emergenti, mentre l’accesso al funding di valute di riserva nei periodo di stress ha generato pressioni sull’attività bancaria off shore”.

Soprattutto questi paesi sono consapevoli che il loro peso specifico nell’economia internazionale, e in particolare per la quota rilevante di commercio che esprimono, merita ben altro livello di rappresentanza nel Grande Gioco finanziario.

E infine sono nelle condizioni ideali per alzare la voce, visto che sono imbottiti di riserve: “La sequenza degli eventi sottolinea la necessità pratica di promuovere l’uso di monete regionali nei commerci regionali per facilitare ala crescita dell’uso delle valute di riserva non tradizionali nel commercio internazionale e nella finanza”. Vale la pena notare che sul finire del suo intervento mister Teng si dilunga sugli straordinari servizi finanziari che la piazza di Macao pensa di offrire ai paesi di lingua portoghese.

Per capire cosa significhi tutto questo, bisogna conoscere alcune nozioni. Una buona fonte può essere un paper pubblicato a maggio 2012 dal WTO, la World trade center organization, dal titolo “L’uso di valute nel commercio internazionale: cambiamenti nel quadro?”

Una qualunque moneta, dice la teoria economica classica, svolge tre funzioni: è un mezzo di scambio, una unità di conto e una riserva di valore. Che traducendo vuole dire che con i soldi possiamo comprare cose (denaro in cambio di beni), misurarne il valore (quanto costa?) o accumulare ricchezza (tipo il deposito bancario).

Una moneta di riserva, oltre alle tre caratteristiche classiche, ne ha altre quattro: diventa una quota importante delle riserve di una banca centrale; viene usata negli scambi interni anche in paesi esteri; denomina, come unità di conto, una grande quota del commercio internazionale; è la valuta dominante nei mercati finanziari internazionali.

A questo punto chiunque avrà pensato al dollaro, anche se ci son altre valute di riserva, a cominciare dall’euro.

Il fatto che venga in mente il dollaro, però, non è un semplice riflesso condizionato: è la prova del ruolo egemone che questa valuta svolge sui mercati internazionali.

In pratica, il dollaro ha eredidato questo ruolo dalla sterlina ormai da decenni. E con l’espansione dei mercati finanziari iniziata negli anni ’80 tale ruolo si è ulteriormente rinforzato, grazie alla liberalizzazione del mercato dei capitali. Vederemo più avanti cosa significa. Tanto che gli economisti avevano smesso di studiare le valute fino a quando non è apparso l’Euro, che ha riaperto i giochi.

Non bastasse l’euro, con l’avvento del XXI secolo è arrivata anche una piazza off shore dove trattare la moneta cinese, che ha suscitato l’appetito di molti operatori che hanno iniziato a chiedere Yuan per il proprio commercio e anche per alcuni investimenti.

Gli economisti si sono risvegliati e hanno ricominciato a farsi domande. Principalmente una: si prepara un cambiamento nel sistema monetario?

Vedremo. Intanto il dollaro mantiene ancora il suo status privilegiato. E in tal senso la “protesta” dei paesi emergenti è un chiaro attacco alla moneta egemone, per ora nella forma moderata della creazioni di alcune enclave monetarie sovrane tipo Shangai o, appunto, Macao.

Ma per capire la sostanza dell’attacco bisogna sottolineare ciò che la ricerca del Wto rileva con chiarezza: al momemto (2012) c’è un sostanziale duopolio fra il dollaro e dell’euro nel sistema internazionale dei pagamenti. Nel senso che gran parte dei pagamenti internazionali sono denominati in queste valute.

Tale duopolio non si giustifica, stante la quota di commercio internazionale che le due aree insieme esprimono. Quindi, in teoria, non viene soddisfatta una delle quattro condizioni che abbiamo visto caratterizzare una moneta di riserva.

Come è possibile? Cosa impedisce perciò che altre valute si affermino?

Il problema è che mentre ai vecchi tempi il commercio internazionale era imperniato sul commercio dei beni, oggi una quota importante degli scambi internazionali sono di natura finanziaria. Oggi la moneta viene ampiamente utilizzata nella sua funzione di riserva di valore, quindi nei mercati finanziari, per tutti i tipi di transazione. Detto in altre parole, la moneta è diventata una merce pari alle altre che, come tale, entra a far parte del mucchio delle merci che vengono trattate ogni giorno.

Quindi non è più la “semplice” quota del commercio dei beni a giustificare l’egemonia di una valuta, ma la quota di commercio di tutti i beni, moneta inclusa (merci e carta).

Perciò può anche succedere, come in effetti succede, che la quota del commercio dei beni di Usa e Ue non giustifichi il sostanziale duopolio delle loro valute come valute di riserva. Ma Usa e Ue hanno di sicuro il primato nel commercio di quel bene sui generis che è il denaro. Hanno la quota più importante del mercato dei capitali. Nel senso che la gran parte delle transazioni puramente finanziarie si svolgono in euro o dollari.

Qual è la conclusione?

Se un paese vuole che la sua valuta diventi davvero una valuta di riserva deve liberalizzare non solo il commercio delle merci, ma anche il commercio di quella merce particolare che è la sua moneta: deve liberalizzare le operazioni in conto capitale. Quindi rendere possibile denominare investimenti nella sua valuta, sia diretti che di portafoglio, senza vincoli.

Deve vendere il suo denaro.

E per riuscirci deve essere credibile. Deve apparire come un paese stabile e perbene. Deve essere rassicurante.

Deve essere uno di noi.

Il paper del Wto fornisce un dato che illustra bene il problema che affligge i vari mister Teng che vivono nei paesi emergenti e in particolare in Cina. La quota di pagamenti effettuati nella valuta cinese nel 2011 sul totale dei pagamenti globali era dello 0,24% a fronte di una quota di commercio globale dei cinesi pari all’11,4%. Il renminbi è molto più che sottoutilizzato.

L’Euro e il dollaro insieme hanno movimentato pagamenti internazionali per quasi il 75% del totale, a fronte di una quota di commercio di beni che non supera il 40%.

Ciò significa che il 70% e passa per cento delle merci (moneta compresa) hanno avuto come unità di conto l’euro/dollaro e come moneta di scambio euro/dollari.

Ecco perché la Cina vuole liberalizzare i suoi movimenti di capitale.

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