Finora la regolamentazione delle tlc ha interessato relativamente pochi addetti ai lavori. Ma è da una settimana circa che i giornali sono intasati da una polemica nata intorno allo scorporo della rete di Telecom Italia e ai prezzi di accesso all’ingrosso che l’Autorità preposta, l’Agcom, ha determinato affinché gli operatori concorrenti possano accedere alla rete in rame di Telecom Italia e rivendere quei servizi ai propri clienti.
Dietro questo problema, apparentemente solo tecnico e volutamente reso incomprensibile ai più, per via di un linguaggio altrettanto tecnico che pochi intendono, si nascondono davvero molte insidie che andiamo ora a spiegare con un linguaggio piano, per renderlo più digeribile a tutti.
E per procedere più speditamente, daremo subito per scontata la conoscenza di una serie di dati di fatto, non certo perché li accettiamo, sia chiaro, né li condividiamo, ma perché sono incontrovertibili.
Il ritardo dell’Italia
Il primo di essi è che l’Italia è indietro sul digitale in ogni senso. Indietro sull’infrastruttura ottica, visto che la fibra “non è pervenuta” e di conseguenza pure sui servizi innovativi siamo davvero carenti, visto poi che la cultura informatica nel nostro Paese è tristemente scarsa. Un fatto questo che già di per sé ci danneggia economicamente in maniera pesante e che non è oltremodo giustificabile in questo periodo di crisi.
Una sana competizione
Indietro come siamo sul digitale – al punto che solo la Grecia è dopo di noi – non ci resta che constatare il secondo dato di fatto. Il nostro operatore storico nazionale, Telecom Italia, ha recentemente annunciato di voler scorporare la sua rete in una società separata. Un fatto che ha pochi precedenti in Europa, e che consentirebbe, se implementato con correttezza e coerenza, una sana competizione sul mercato. Vale a dire che tutti gli altri operatori possono accedere alla medesima infrastruttura a condizioni non discriminatorie, cioè valide per tutti.
Le regole che soffocano la banda larga
Eccoci dunque arrivati alle regole. Tante regole, troppe regole stanno soffocando il mercato della banda larga in Italia. Ogni anno Telecom deve pubblicare un listino di interconnessione che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni deve controllare e definire per favorire la concorrenza degli altri operatori che vogliono sfruttare la vecchia rete in rame di Telecom per fare le proprie offerte ai clienti. Sono in pratica Wind, Fastweb e Vodafone, quindi un operatore russo, uno svizzero e uno inglese.
Gli altri sono tanto piccoli da non riuscire a determinare e nemmeno lontanamente a condizionare le scelte del mercato. Vale a dire che se questi tre grandi operatori si associano in una lettera congiunta, l’AGCom probabilmente li terrà in considerazione. Tanto è vero che il pressing congiunto che hanno fatto negli ultimi giorni ha portato l’Autorità a ribassare i prezzi di accesso all’ingrosso con percentuali elevatissime, facendo saltare i conti all’operatore storico, e mettendo in pericolo lo stesso progetto di scorporo della rete, annunciato da Telecom Italia. Un primo indizio del fatto che il settore è sovraregolato deriva dal titolo Telecom in borsa, sceso ai livelli del 1997, circa 0,4 cent di euro. Con ripercussioni forti su chi ha investito miliardi in quella azienda e che oggi si vede l’investimento ridotto in misura più di quattro volte.
L’eccezione italiana
Quindi c’è, ed è evidente, un interesse di ciascun Paese ad avere un operatore nazionale forte. E tutti i governi europei stanno facendo crescere un campione nazionale da far scontrare con gli altri a livello europeo. Solo l’Italia dunque si permette di adottare regole che sono abbastanza lesive dell’unico grande operatore che abbiamo, al punto da obbligarlo ad aprire la propria rete storica agli altri operatori esteri, e a farlo con prezzi davvero bassi, e oggi ancora più bassi, orientati ai costi e con margini quindi ridotti all’osso.
Si tenga conto poi che Telecom Italia non è affatto dominante nelle principali città italiane. Uno studio di un osservatorio come Between mostra addirittura una quota di mercato del 25% di Telecom Italia a Milano.
Questo significa che non esiste più un solo mercato nazionale, ma esistono tanti mercati subnazionali dove AGCom dovrebbe indagare: se in una città ci sono già tre operatori concorrenti, Telecom Italia non dovrebbe più essere obbligata ad aprire loro la rete, quantomeno non a condizioni regolamentate ma a condizioni di mercato.
Implementare una segmentazione geografica
In linguaggio tecnico si dice che si deve implementare una segmentazione geografica dei mercati della banda larga, così come anche altri Paesi europei hanno fatto. Che non significa totale assenza di regole. E nemmeno sconti regolatori, come qualcuno maliziosamente ha detto. Sono regole precise che operano quando il mercato è saturo. Agcom infatti interviene ex ante, ossia creando le condizioni per una concorrenza. Ma se questa già c’è nelle grandi città, un intervento di regole sarebbe sovrabbondante.
Ed è esattamente quello che sta accadendo adesso che Telecom Italia ha addirittura annunciato di voler scorporare la rete. Se ci sono già le precondizioni della concorrenza, non serve modificare alcunché del gioco competitivo perché il mercato – come tutti sanno – si autoregola.
Cercasi un regolatore coraggioso
C’è bisogno ora più che mai di un regolatore coraggioso e capace di spingere il mercato verso investimenti in infrastrutture di nuova generazione. Se si abbassano i prezzi di accesso di ingrosso al rame, gli operatori continueranno a sfruttare quella vecchia rete, distraendo capitali da quella nuova. Per di più in un mercato che è falsato da regole che valgono a livello nazionale e non tengono conto che la situazione a Roma e Milano è ben diversa rispetto a quella del piccolo centro.
Una volta capita questa successione di passaggi logici che abbiamo or ora spiegato, sarà facile raggiungere una pax regolatoria e una sana ripresa degli investimenti, ma di tutti stavolta, nel nostro Paese.
Dario Denni
Osservatoriodellarete.net