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Gli Usa non intervengono in Siria perché costa troppo. I numeri del Pentagono

Per la prima volta il Pentagono si è sbilanciato e ha svelato le opzioni del governo americano per un eventuale intervento militare in Siria. In un comunicato inviato al Congresso venerdì, ma diffuso ieri, il generale Martin Dempsey ha spiegato i costi economici di ognuna delle alternative che sono sul tavolo. Con gli eventuali cambiamenti nel corso della guerra e gli effetti negativi per gli Stati Uniti. Il resoconto è una chiara giustificazione del perché fino ad ora l’amministrazione del presidente Barack Obama non ha deciso.

“La decisione di un intervento militare è di carattere politico. Una volta che la decisione sia stata presa, dobbiamo essere pronti per il seguente passo perché un’implicazione più profonda sarà difficile di eludere”, ha detto Dempsey.

Le armi dello Stato

Il Pentagono ha programmato l’allenamento e le consulenze all’opposizione siriana, la realizzazione di attacchi aerei limitati, la creazione di una zona di esclusione (no fly-zone), e l’apertura di zone di sicurezza nella frontiera con la Turchia e la Giordania, oltre al controllo delle armi chimiche. Tutte operazioni finanziate dallo Stato.

Secondo il documento presentato dal Pentagono, le spese pubbliche sarebbero di circa 500 milioni di dollari all’anno e la zona di esclusione (no fly-zone) esige l’investimento di un miliardo di dollari al mese per almeno un anno. Una cifra esorbitante in un momento storico, dove i tagli colpiscono soprattutto il Dipartimento di difesa americano, e di assoluta incertezza fiscale.

Quella costosissima no-fly zone potrebbe togliere la capacità di bombardamento del regime siriano, ma non garantisce la riduzione della violenza, ha spiegato Dempsey. I soldati di Assad contano su armi, missili, artiglieria pesanti e munizioni sul territorio.

Le domande dell’opposizione

Dempsey ha diffuso queste cifre sui piani del Pentagono in Siria dopo che settimana scorsa è stato chiesto un chiarimento da parte del senatore John McCain. Mesi fa McCain si è speso in prima persona nella vicenda andando personalmente ad incontrare i leader dell’opposizione in Siria. All’epoca aveva fatto i complimenti al presidente Barack Obama per il suo impegno.

Un mese dopo, con l’opposizione indebolita – incapacità di prendere il controllo della strategica Aleppo – e l’esercito siriano che continua a conquistare territori, la Casa Bianca ha ridotto le aspettative e resta attenta agli sviluppi, senza compiere nessuna azione. Atteggiamento condiviso dal Regno Unito e il premier britannico David Cameron.

Molti parlamentari hanno messo in dubbio il successo del piano militare di Obama. Come ha confermato un alto funzionario del Dipartimento della difesa al New York Times, la guerra civile in Siria potrebbe durare anni, indipendentemente se Assad resta al potere o meno. Ma gli alti costi di questa azione per gli Stati Uniti, si possono mantenere?



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