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Berlusconi e la sindrome di Achille Vistorino

– I capitani, forse ! E dispiegò il giornale per farmi capire che aveva chiuso ogni discorso. Così calava il sipario sul racconto omonimo di Piero Chiara. Un Chiara, in versione boccaccesca, che attraverso il suo localissimo punto di osservazione, là dalle sponde del suo Lago, riusciva a cogliere l’attualità dei giorni nostri. Con le corna del diavolo diritte e tese, fatte antenne, capaci di captare il futuro e ogni tempo.
Achille Vistorino è un impostore. Si spaccia per essere un capitano di lungo corso venuto sul Lago Maggiore a trovar riposo dopo aver vissuto mille avventure attraversando il periglioso dei mari e degli oceani. Esercita un fascino non comune l’uomo di tali trascorsi, specie sui miti abitanti del Lago, dalla vita monotona e cheta come le sue acque. Quand’ecco che arriva, con il tempo del teatro, lo svelamento. L’epifania è data a mezzo di sentenza, vizio italico senza calendario, che prescrive il reato al ladro celato dietro l’impostura.
Dove non arriva la giustizia sempre fuori tempo, e dove non arriva la morale sempre troppo soggettiva anche quando è collettiva, arriva la letteratura che dell’animo umano e della storia è lo scandaglio più vero. Berlusconi, condannato o no, è ormai nudo davanti al popolo mite e cheto che ha subito il suo straordinario ascendente. Vale per Berlusconi l’ammissione della peggiore colpevolezza quella, appunto, implicitamente ammessa da Achille Vistorino – I capitani, forse!
Berlusconi non è un capitano. Troppo individualista, troppo “io”, è l’uomo solo al comando. Incapace di costruire un quadrato ufficiali perché troppo sensibile alle lusinghe della piaggeria della corte che rimbomba e si fa eco. Davanti alla possibilità del carcere ecco: di nuovo l’io. Per essere, comunque, protagonista.
Berlusconi tra Nelson e Napoleone sceglie il secondo. Preferisce Sant’Elena pur di non andare a fondo con tutta la sua nave e non fa del legno della nave nemica il suo tambuto. Il sostegno al governo Letta diventa l’uno pro multis , che da un improbabile prigione suonerebbe ancora più eroico. Se Berlusconi non è un capitano, e somiglia troppo a Napoleone, al comando della flotta avversaria non scorgiamo, ahinoi, nessun Nelson. Adriano Sofri, facendo della sua esperienza del carcere il cilicio che ha reso enorme il suo “io-morale”, con la sufficienza di chi si sente superiore manda a dire al Cav., che pensa di gestire il partito dal carcere, che lì non c’è modo di accedere alla rete. Da un non capitano a un non capitano.
E così noi, il noi sempre assente, sulla nave Italia che naviga in acque mai tranquille, non avendo nessuno che traccia una rotta e indica una meta, come i topi ci gettiamo in mare.

Si salvi chi può.

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