Le Borse festeggiano i dati sul commercio internazionale cinese. A luglio l’export del Dragone rimbalza e sale del 5,1% rispetto a un anno fa. Oltre l’atteso +3,1% e dopo il +3% di giugno. Tuttavia l’import avanza del 10,9%, più di 5 volte sopra le attese e questo frena il surplus commerciale, che si attesta a 17,8 miliardi di dollari, sotto le previsioni. Ma dietro dei risultati importanti si nascondono delle ambiguità che preoccupano gli analisti, e, sotto sotto, anche le autorità di Pechino.
Secondo gli economisti i dati sui consumi interni cinesi non sono affatto utili. “Alcuni dati sulle spese sarebbero davvero graditi, d’altronde i mercati guardano con attenzione sempre crescente a Pechino come ad un’economia anche dei consumi”, ha spiegato a Reuters Alvin Pontoh, strategist per il Pacifico di Td Securities di Singapore.
L’importanza dei servizi
Ogni cosa dal consumo di sale alle vendite di Audi è considerata per dare un’idea dello stato di salute dell’economia, in cui il settore dei servizi resta quello con più dipendenti e rappresenta circa il 45% dell’attività complessiva”. Ma il focus cinese su investimenti e manifattura per stimolare la crescita si riflette nella misurazione del Pil, che calcola le forniture. Differenziandosi quindi dalla metodologia usata in altri Paesi, dove si fa riferimento ai prodotti consumati.
I dati sulle vendite
Prendiamo, ad esempio, il dato ufficiale sulle vendite. Questo risultato considera una vendita la transazione per cui un bene viene consegnato al negoziante, invece che quella in cui viene materialmente ceduto al consumatore. E il prodotto, naturalmente, può rimanere sugli scaffali a lungo, essendo comunque conteggiato. Questa predilezione per l’aspetto produttivo ha naturalmente finito per sottolineare la carenza dei dati sui consumi.
Contabilità diversa anche sull’export
E i problemi non riguardano solo i dati sull’import. In circostanze normali, evidenzia il Financial Times, il forte aumento dell’export disegnerebbe un quadro rassicurante sulla domanda globale. Ma i numeri sull’export cinese alimentano i dubbi degli analisti, perché sono redatti seguendo criteri contabili diversi da quelli degli altri Paesi.
Dei flussi pompati
Non solo. I maggiori gruppi dell’export cinese hanno fatturato in modo eccessivo le loro vendite per evadere al fisco facendo entrare nel Paese grandi flussi di liquidità non registrata. Yao Wei, economista di Société Générale, ha spiegato che “la crescita dell’export continua ad essere troppo forte per essere vera”. La prova? Mentre Taiwan ha riportato un calo dell’import dalla Cina del 2,7% ad aprile, Pechino ha sbandierato una crescita del 49,2% del suo export verso Taiwan.
Le politiche dei controlli sull’export
E il fenomeno comincia a preoccupare anche le autorità del Dragone. Mentre fino a poco fa l’amministrazione delle dogane spazzava via le critiche ai dati sostenendo che le fatture finte erano solo una parte della cifra complessiva. Ma, stranamente, le autorità hanno annunciato domenica una nuova e più rigida politica di controlli sull’export, con sanzioni riviste per chi gonfia le proprie fatture.
L’attivismo di governo e PBoC
Mascherati o no da metodi contabili particolari o da giochetti tra evasione e illegalità, i dati sul commercio internazionale cinese restano un risultato incoraggiante. Almeno finché resteranno in piedi due presupposti fondamentali e strettamente legati: il proseguimento del programma governativo di ammodernamento infrastrutturale e quello monetario espansivo della People’s Bank of China (PBoC), la cui liquidità finanzia, tra l’altro, il grande import di materie prime.