Nell’intervento precedente avevo denunciato la grave situazione umanitaria in Russia. Dopo l’approvazione della legge “anti-gay”, numerosi sono stati i casi di violenza e persecuzione nei confronti di ragazzi e ragazze omosessuali. Le associazioni LGBTI russe sono state isolate dal mondo e il loro lavoro è reso di giorno in giorno meno efficace.
L’esito (il)logico di questa triste situazione sarà la messa al bando delle associazioni LGBTI, saranno rese illecite e illegali, sempre tramite meccanismi ufficiali e formalmente validi. Verrà sancita l’illegalità dell’omosessualità per legge e verranno autorizzate, legittimate e stimolate, azioni anche violente contro chiunque si “professi” omosessuale, faccia sfoggio delle proprie tendenze e soprattutto chiunque intenda fare “proseliti”. La Russia dovrebbe preoccupare tutti noi, perché è un grande Paese che dall’estremo oriente si riversa nell continente europeo, quello dell’unione monetaria e della Carta dei diritti che sancisce chiaramente che la difesa della dignità dell’uomo è al primo posto. Cosa vorranno fare i Paesi occidentali ed europei? Staremo a vedere, mentre migliaia di vite sono in pericolo.
Se la Russia ci preoccupa per la progressiva istituzionalizzazione dell’omofobia, in Italia non dobbiamo abbassare la guardia. Il nostro Paese, come ho più volte ricordato in interventi su neodemos.it oltre che su formiche.net, è l’unico Paese dell’UE che non ha una legge contro i reati basati su omofobia né una legge che regolamenti le unioni tra persone dello stesso sesso. L’Italia vive in quello che si può definire, senza molti complimenti, la “periferia della civiltà” in tema di diritti e dignità delle persone omosessuali, transessuali e bisessuali.
Una non-cultura è la nostra, che cerca di far sopravvivere un modello di vita machista e misogeno. Non c’è ancora pieno rispetto della donna e dei suoi diritti, e non c’è ancora un minimo di rispetto per le persone omosessuali. Lo ha scritto bene Stefano Rodotà, che sul riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali si gioca la sfida di civiltà del nostro Paese. Eppure, in Italia, la civilissima Italia, si muore ancora per omofobia.
Dopo i tanti casi denunciati nei mesi scorsi, oggi una nuova tragedia. Un ragazzo di 14 anni si è buttato da 20 metri, dal tetto del palazzo in cui viveva. La lista delle vittime giovani per omofobia è lunga. Certo, nella legge dei grandi numeri passano inosservate, queste morti per suicidio, così come le numerose situazioni di sfruttamento, violenza, degrado e umiliazione che centinaia e centinaia di persone omosessuali devono subire, nella civilissima Italia.
Provo rabbia e frustrazione, perchè ancora una volta, a causa delle retoriche dell’odio, della rabbia e della radicata ed endemica ignoranza, una giovane vita è stata spezzata. Ha lasciato un messaggio ai propri genitori dicendo che le continue umiliazioni ed offese da parte dei “bulli” di quartiere e di alcuni compagni di scuola, erano diventate insostenibili. Era omosessuale, si era accettato, o credeva di esserci riuscito. Era solo in questo percorso, come capita a migliaia di altri ragazzi, ma la sua personale sensibilità e la sensazione di essere solo, abbandonato a se stesso, lo ha avviluppato, costretto, schiacciato.
Roberto (nome di fantasia) aveva 14 anni, ha preferito la morte al dialogo con la propria famiglia, al confronto con gli amici e compagni di scuola, con le professoresse o con un confidente, magari anche religioso. Quello che questo ennesimo caso di abbandono ci dice, è che questi giovani ragazzi vivono nella totale fragilità, in un deserto di emozioni e in uno spazio privo di “empatia”, di capacità di comprensione, di fratellanza.
Un suicidio denuncia che per quella persona la vita è diventata tanto orribile e insostenibile, da indurre a privarsene. La vita è diventata per questo ragazzo la sua prigione, la sua condanna. Ecco, il terribile fallimento della società e delle istituzioni. Il fallimento della famiglia, non questa in particolare, ma quella generale, dei legami affetivi e familiari; così come il fallimento del gruppo dei pari (anche se odio questa espressione), amici che dicono “non ci siamo accorti di niente”. Ma come, è tra amici che si parla ci si confida, si discute e si percepisce il non detto. Ma questo è il fallimento più ampio della società tutta, dalla scuola alla parrocchia, fino allo Stato.
Ancora non si è trovata una soluzione politica al problema dell’omofobia. Non c’è una legge che istituisca questa forma di reato, non c’è un programma di formazione e sensibilizzazione per le scuole né per le forze di polizia. Manca, totalmente, un progetto di emancipazione del Paese dai propri razzismi e dai propri tradizionalismi assassini.
Siamo veramente alla periferia dei diritti e della civiltà. Ci sta bene questo modo di essere? Ci sta bene che un ragazzino di 14 anni preferisca la morte, alla possibilità di vivere pienamente se stesso? Ci sta bene che l’ignoranza e l’odio prevalgano sulla razionalità, la giustizia, la fratellanza e l’amore, questo sentimento tanto usato ed abusato?
No, a me non sta bene e devo dirlo. Questo spazio è ciò che ho per denunciare questa condizione di precarietà umanitaria, che non è solo altrove, ma anche sotto casa, sotto il nostro naso. Ogni volta che assistiamo ad un gesto di rabbia e di odio e ridiamo o ci voltiamo dall’altra parte, diventiamo complici di questo sistema malato; ogni volta che offendiamo un altro usando la parola “frocio” siamo colpevoli e parte del problema; ogni volta che ci diciamo che dopotutto non ci riguarda, commettiamo un crimine contro noi stessi. Ci neghiamo l’umanità e la pietà, ci neghiamo la giustizia.
Gli indifferenti, categoria pericolosa, specialmente quando si tratta di affermare diritti e di tutelarli. Allora concordo con il grande Antonio Gramsci, quando scriveva “odio gli indifferenti” poiché “l’indifferenza è il peso morto della storia”. Per questo scrivo quando posso di queste vicende tragiche, tanto quanto di quelle felice. Perché non voglio che queste morti passino in silenzio e soprattutto voglio che le cause/motivazioni si sappiano e costringano tutti a rifletterci su e dirsi: forse anche io sono stato parte di questa tragedia!.
Non possiamo permettere che a 14 anni la vita sia vissuta come un peso, e non come la cosa più bella che si ha. L’omosessualità non è un problema, non è una condizione di minorità e di infelicità. L’omosessualità è un dato di fatto, un modo di essere, una cosa che appartiene alla persona che la vive, tanto quanto la condizione dell’eterosessualità. Il problema è il pregiudizio e l’odio, l’ignoranza e la volontà di distruggere dei contesti in cui viviamo.
Se ci voltiamo dall’altra parte, se non riflettiamo, se non ci impegnamo per migliorare questa società, siamo complici e co-responsabili di ciascuna di queste tragedie e di quelle che purtroppo, potranno avvenire.
Un saluto al piccolo Roberto, ucciso da un mondo d’odio e d’indifferenza, di ignoranza e di brutalità.