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Crisi in Siria: le motivazioni della titubanza

Dopo l’annuncio congiunto di Obama e Cameron sulla necessità di un attacco ragionato, breve e punitivo, nei confronti del regime siriano di Assad, è necessaria una riflessione approfondita circa le motivazioni che hanno spinto così repentinamente USA e GB a richiedere un intervento.

Non sono un esperto di politica internazionale né di diplomazia però cercherò di fare un ragionamento. Scrive Paolo Magri, direttore dell’istituto di studi politici ISPI, di Milano, su un articolo de “La Provincia” qualche cosa di molto interessante e vero.

Della situazione in Siria si sapeva già da diverso tempo. L’uso delle armi chimiche è solo il pretesto necessario per portare all’ONU la richiesta di intervento, e per convincere i Paesi contrari, soprattutto la Russia, storica alleata della Siria. Il regime di Assad in Siria è sanguinario e lo sappiamo da molto tempo. Magri si chiede: perché non siamo ancora intervenuti? Perché solo ora ci poniamo il problema? Dopo 100 mila morti e oltre 2 milioni di profughi, metà dei quali sono bambini, come denunciato dalle associazioni umanitarie e da Unicef.

Nell’articolo di Magri si parla in modo chiaro delle questioni tutte politiche che hanno impedito agli USA e all’occidente di agire in precedenza: “la Siria non è la Libia”, ossia la Siria ha armamenti e difese molto avanzate che potrebbero compromettere un qualsiasi intervento mirato e di breve durata. La Siria non è un paese sprovvisto di armi né di alleati. Russia e Iran, potenze alleate della Siria non potrebbero tacere su un eventuale attacco ad Assad, e la Russia, scrive Magri, reagirebbe molto negativamente se fosse scavalcata rispetto al diritto di veto che ha nel consiglio di sicurezza. Inoltre, Israele è il paese più esposto da un’eventuale guerra in quella zona, poiché Iran, Siria e Libano non esiterebbero ad attaccare Israele e quell’area diventerebbe un nuovo inferno. Una nuova lunga ed estenuante guerra che potrebbe destabilizzare non solo il medio oriente ma anche il resto del mondo.

Quello che accade in Siria da ormai tre anni è davvero una “oscenità”, l’occidente avrebbe dovuto agire prima e in modo più determinato, trovando magari accordi con Iran e Russia, o anche solo convincendoli a collaborare al fine di fermare queste carneficine a danno della popolazione innocente siriana. Poco si è fatto, e ora è davvero tardi.

La speranza di quel popolo di emanciparsi da un dittatore si sta spegnendo. L’annuncio degli USA sull’intervento immediato si è già ridimensionato. Gli ispettori ONU devono ancora concludere le ispezioni e portare la documentazione all’ONU, il diritto internazionale è sempre debole e fallace, ma per fortuna esiste, Russia e Iran non permetteranno di essere surclassati dalle decisioni univoche di Washington e soprattutto gli alleati storici degli USA si sono già tolti dal conflitto.

La camera dei comuni ha bocciato la richiesta d’intervento di Cameron, cocente sconfitta per il premier britannico. Germania e Francia (anche se oggi Holland ha aperto ad un appoggio militare) sono titubanti e chiedono più tempo per consentire agli ispettori ONU di completare il loro lavoro mentre l’Italia non parteciperà se non ci sarà una decisione concertata dei Paesi del consiglio di sicurezza e dunque, non interverrà. Si limitano tutti a condannare queste oscenità, ma nessuno ha intenzione di fare molto.

È vero, la situazione è delicata, si rischia una guerra estenuante che non produrrà niente di buono. Ma ci possono essere altre soluzioni, l’occidente deve impegnare ogni sforzo per rivoluzionare la situazione siriana, trovare il modo di non compromettere la ribellione interna ed evitare, comunque, ogni genere di intervento disorganizzato e non comunemente voluto.

La Russia è la potenza che deve essere inclusa nella discussione e con cui va trovato rapidamente un accordo.

Di seguito l’intervento di Paolo Magri >>qua<<


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