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Dove si investe (davvero) nella ricerca

In Italia, si sa, la ricerca universitaria non versa in ottime acque. I tagli alle risorse economiche ad essa destinate sono tali da non garantire – oltre allo sviluppo della ricerca stessa – degli stipendi dignitosi per i ricercatori. Racconto di seguito le testimonianze di due ricercatrici italiane, che hanno preferito rimanere anonime: la prima lavora per un’università italiana, la seconda per una statunitense.

La ricercatrice italiana, che si occupa di storia dell’arte, ha ottenuto un posto di lavoro relativo ad un’attività – non meglio specificata – di restauro, per il quale le è stato garantito, su accordo preso con il suo datore di lavoro, un rimborso spese. L’entità del rimborso è stata calcolata in base al costo che la ricercatrice avrebbe dovuto sostenere per recarsi giornalmente sul posto di lavoro. Dunque, essendo l’università in questione situata a Roma e abitando la ricercatrice a qualche fermata metro di distanza dall’ateneo, il rimborso spese stimato è stato di 3 euro al giorno: il costo del biglietto di due corse metro, andata e ritorno. È inutile specificare che la ricercatrice ha rifiutato – con giustificato disappunto – la miserrima offerta di lavoro. Dall’altro lato del mondo invece, in un’università americana, la sua collega ha ricevuto un trattamento differente.

Dopo aver superato un concorso – ramificato in diverse procedure distribuite nell’arco di un anno – la candidata è stata accettata dall’università con un contratto quinquennale per un dottorato di ricerca (Ph.D., Doctor of Philosophy). Questo contratto consiste in una doppia posizione lavorativa. Da un lato, quella di studente, che consentirà di seguire i corsi e offrire il materiale su cui preparare la tesi godendo di una borsa che coprirà tutte le spese, dalle tasse universitarie all’assicurazione. L’altra mansione riguarda il lavoro di assistente del professore titolare di cattedra, che consiste nell’esaminare gli studenti, tenere alcune lezioni e avere un orario di ricevimento, per il quale la ricercatrice avrà un suo ufficio. Lo stipendio complessivo si attesta sui 2’000 dollari mensili, cui si aggiunge una copertura per tutte le spese di viaggio relative alle missioni di ricerca ed un corrispettivo extra per eventuali incarichi supplementari proposti al dottorando.

Confrontando le due esperienze risulta facile capire perché la motivazione, la disponibilità, l’impegno e l’interesse a rimanere in Italia per fare ricerca tendano a svanire. Ciò nonostante, un’altra riflessione è necessaria. In un Paese dove, a causa delle turbolenze economiche del periodo, mancano le risorse in tutti i campi, potrebbe essere comprensibile che anche la ricerca venga penalizzata. Tuttavia, dal dover fare i conti con una penuria di risorse al dover umiliare il lavoro di una ricercatrice (3 euro al giorno!) la differenza è considerevole.

Pertanto, mentre in Italia si discute di processi che bloccano un intero Paese e di governi che hanno come unica missione quella di tirare a campare, all’estero si ospitano i nostri cervelli, mentre l’impoverimento generale continua.

Twitter @FraOnorato

 



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