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Come si muovono Obama e Putin in Egitto e Siria

Nonostante lo sgombero della Moschea di Al Fateh nella capitale Il Cairo, la denuncia delle inflitrazioni di Al Qaeda e quattro giorni di gravissimi scontri con migliaia di arresti, il governo militare egiziano non ha certo migliorato la propria posizione internazionale.

Sul terreno rimane chiuso su un fronte micidiale, costituito dalla forza congiunta degli Stati Uniti e di Israele. Nessun alto ufficiale egiziano puo’ infatti ignorare la discreta presenza militare e di intelligence americana a Bengasi, nella parte orientale della Libia più vicina al confine con l’Egitto, e in Giordania, dove é stato allestito sotto comando Usa un campo di addestramento per ribelli siriani, in previsione di un intervento nel Sud della Siria.

Il 12 agosto il capo di stato maggiore generale Martin Dempsey si é infatti recato ad Amman per tirare le fila di un’operazione che prevederebbe una no-fly zone dal confine israelo-giordano a Damasco, la proclamazione di una repubblica libera siriana con capitale Deeraa e una zona cuscinetto di 40 km in mano ai ribelli.

E Israele, che ha inizialmente sostenuto insieme con il Segretario di Stato John Kerry la linea del golpe “funzionale al consolidamento democratico”, si ritroverebbe coinvolta con la propria forza aerea a protezione delle retrovie in un’azione favorevole alle sorti dei radicali sunniti al proprio confine settentrionale. Per quanto questa non sia una prospettiva particolarmente esaltante per Tel Aviv, potrebbe essere una chiave di volta per dare sfogo a quelle stesse forze che sono spietatamente represse al Cairo e soprattutto nel Sinai, snodo fondamentale per la consolidata alleanza militare israelo-giordano-americana. Inoltre potrebbe essere un modo per colpire Hezbollah ingraziandosi indirettamente Hamas (il cui senso di riconoscenza, peraltro, non è formidabile…) e testare il nuovo regime di Teheran in un’area che era diventata sensibile per la sua propaganda filosciita internazionale.

Paradigmatica la posizione poi dei Sauditi, che hanno dimostrato aperta solidarietà al regime militare egiziano nella repressione di questi giorni, e che al tempo stesso sarebbero in prima fila nell’operazione orchestrata da Dempsey.

Insomma ci sono gli ingredienti perchè la politica estera americana, sotto scacco nelle polemiche agitate all’interno da correnti avverse soprattutto al segretario di Stato John Kerry, reagisca usando la solida leva militare dell’asse israelo-giordano messo in preallarme in questi giorni. Spesso dimenticata nelle analisi nostrane, la potenza israeliana è un fattore imprescindibile, che viene tenuto invece in debita considerazione dagli stessi arabi e perfino dagli islamisti, al punto che alcuni di essi ne sono oggettivamente alleati o cercano di servirsene nel confronto interno tra le varie filiere regionali guidate da Turchia, Qatar, Arabia Saudita ed Iran.

Secondo il leader dei repubblicani americani Eric Cantor, tornato ieri da un giro di consultazioni a Tel Aviv, non e’ infatti la Siria né l’Egitto, ma sempre Teheran al centro delle preoccupazioni israeliane. Lo confermerebbe indirettamente il sito Debkafile, vicino all’intelligence dello Stato ebraico, criticando indirettamente la linea anglo-franco-tedesca di un aumento delle pressioni e delle critiche al generale El-Sisi. Questa linea, che è in gestazione nelle capitali europee, avrebbe tre effetti nefasti: incoraggiare la Fratellanza musulmana a cercare lo scontro e la ribalta mediatica per colpire l’immaginario globale, accrescere se possibile la spietatezza della repressione e rafforzare la tentazione egiziana di avvicinarsi ad Arabia Saudita ed Emirati, allontanandosi dalla tradizionale alleanza con Washington. Un esito cui Mosca, peraltro, sta attivamente lavorando con la sponda di Ryhad.

Insomma il deteriorarsi della situazione interna in Egitto propone una “via d’uscita siriana” alle complesse e fluide relazioni tra grandi potenze e correnti politico-militari del mondo islamico, e all’empasse delle stesse grandi potenze, in particolare degli Stati Uniti.

Si delineerebbe cosi un possibile compromesso spartitorio, dove la Russia dopo essersi avvicinata al fronte “anti-Fratellanza” di Egitto e Arabia Saudita potrebbe dare il via libera ad un intervento in Siria che riproporrebbe su quello scenario la relazione Usa-radicali sunniti promossa da Obama fin dal 2009 (discorso del Cairo) e rafforzata dalla cooperazione tra Nato e Lega Araba durante la guerra in Libia. Una relazione che in Egitto è entrata in crisi, secondo alcuni, irrimediabile.

Meglio essere prudenti, pero’: alleanze e rivalità sotto le palme del Medio Oriente eludono le definizioni nette, e i loro contorni cambiano e sfumano come oasi in un miraggio.



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