I mercati rimbalzano sull’onda delle parole, dette e non dette, del verbale (le minute) della riunione di fine luglio della Fed americana pubblicato ieri. Ma tra le righe è emerso solo quello che si sapeva già, e che i mercati stanno già scontando da qualche giorno: la banca centrale guidata da Ben Bernanke è spaccata non solo sulla tempistica del tapering, la stretta monetaria, ma anche sul livello di inflazione e di disoccupazione cui agganciarlo. E la soluzione, in attesa dei dati di settembre, sembra essere il rinvio.
Abbassando la soglia della disoccupazione scelta come obiettivo per il prolungamento dell’allentamento monetario, i vertici della Fed sperano di poter placare ancora per un po’ la fame di liquidità dei mercati. E mentre cresce la schizofrenia sulle borse, anche di quei Paesi Emergenti che sembravano dover essere le nuove locomotive dell’economia mondiale, ci si rende conto che le manovre estreme delle banche mondiali sono servite a poco, se non a prendere tempo. Nella speranza, svanita, che i governi decidessero le riforme strutturali alla base di una nuova fase di crescita. E adesso ci si ritrova invece con una liquidità che rischia troppo di trasformarsi in speculazione, con un sistema bancario ancora in bilico e uno status quo politico-sociale che non si è voluto sbloccare.
La spaccatura della Fed
La Federal Reserve resta divisa sulla tempistica con cui dovrebbe ridurre il ritmo con cui acquista Treasury e bond, attualmente pari a un valore mensile di 85 miliardi di dollari. E’ quanto emerso dalle minute, i verbali della riunione del 30 e 31 luglio scorsi del Federal Open Market Commettee (Fomc), il braccio di politica monetaria della banca centrale guidata da Bernanke.
Le previsioni per metà 2014
Ma la Fed ha ribadito che se le sue previsioni sull’economia saranno centrate, il piano di allentamento monetario terminerà a metà 2014. Dal documento si evince che il terzo round di quantitative easing finirà quanto il tasso di disoccupazione, attualmente al 7,4%, si troverà intorno al 7% con l’inflazione (attualmente intorno all’1%) verso il 2%. Nulla di nuovo dunque rispetto a quanto già si sapeva.
Le divergenti aspettative sull’inflazione
Ma c’è divisione anche sulle aspettative per i prezzi al consumo. “Alcuni” vedono l’inflazione tornare “in modo ragionevolmente veloce” verso il 2% mentre un certo numero crede che l’inflazione potrebbe restare sotto quel valore “per un periodo protratto di tempo”. Se l’inflazione resta sotto tale soglia, di fatto si potrebbe posticipare ulteriormente l’adozione di un freno al piano di stimolo.
Gli appuntamenti di settembre
Una divisione che potrebbe essere risolta nelle prossime: il 6 settembre è atteso il dato sul mercato del lavoro, parametro determinante per le decisioni della Fed. La banca centrale ha fissato al 6,5% la soglia del tasso di disoccupazione per un aumento dei tassi di interesse, ma nell’ultima riunione si è aperto il dibattito sulla possibilità di abbassarla, una mossa che consentirebbe alla Fed di allentare i timori del mercato sul fatto che una stretta dell’allentamento monetario possa essere seguita a breve da un aumento dei tassi di interesse.
Le banche centrali hanno guadagnato tempo, ma i governo non hanno approfittato
Ma la vera colpa dell’incertezza che regna sui mercati non dovrebbe essere addossata alle recenti decisioni di politica monetaria. “Le banche centrali dei Paesi avanzati – scrive sul Sole 24 Ore Marco Onado – hanno fatto ‘whatever it takes‘ per evitare il disastro di una grande depressione, ma ormai sono consapevoli dei possibili effetti collaterali della loro azione. Il che ovviamente non piace ai mercati, che si muovono su orizzonti temporali sempre più corti. Ma è un fatto che le incertezze di queste settimane sono da imputare alle politiche economiche inadeguate, dunque soprattutto ai governi. Eppure, nelle agende dei vertici mondiali ed europei, sembra che la battaglia in corso debba essere combattuta solo sul fronte delle politiche monetarie e dunque che gli unici generali responsabili siano i banchieri centrali. L’Europa è un caso esemplare di questa schizofrenia. Sono i governi che devono trovare una risposta concreta ai problemi della crescita e dell’occupazione ed è l’Europa nel suo insieme che deve cambiare passo nelle riforme e nel processo di integrazione”, conclude.