Settembre sarà un mese cruciale per l’Europa non solo per l’importante esito elettorale tedesco e per le decisioni che la Corte Costituzionale di Karlsruhe adotterà in merito alla partecipazione ai programmi di sostegno ai paesi “deboli” demandati alla BCE, ma anche per i nuovi equilibri che dovranno necessariamente emergere nell’assetto politico italiano dopo le note turbolenze estive.
In questo scenario, che non mancherà di influenzare le sorti dell’Unione non solo monetaria, cresce sempre più nel nostro Paese il disagio nei confronti di una Europa che ha radicalmente modificato gli originali obiettivi e le tanto declamate promesse. In Italia d’altronde, a differenza delle altre nazioni europee, è stata sempre preclusa ogni critica nei confronti della costruzione europea e monetaria comune, ritenuta dalla classe politica dirigente e di riflesso dalla maggioranza dell’opinione pubblica, come un bene supremo da tutelare ad ogni costo.
Ancora sono evidenti gli effetti della grande “sbornia” a cui, volenti o nolenti, siamo stati sottoposti quando ad iniziare dalla fine degli anni Ottanta ci è stata prospettata l’avventura europea. Con eccesso di facile ottimismo, si è sostenuto che tutti i nostri atavici problemi si sarebbero risolti come per incanto affidandoci al “vincolo esterno” che ci avrebbe finalmente consentito di conseguire quello che in maniera autonoma non eravamo mai riusciti a ottenere.
Ci affidammo pertanto, con piglio troppo garibaldino, ai dettami e vincoli dei Trattati internazionali senza valutare preventivamente non solo che non saremmo mai riusciti a rispettarli, ponendoci poi in situazioni di perenne emarginazione, ma che nel tempo avrebbero radicalmente sostituito il nostro modello economico che, giusto o sbagliato, ci aveva fatto in ogni caso raggiungere vette molto alte fra i grandi del pianeta. Il resto è cronaca quotidiana!
Il rifiuto di elaborare e proporre serie alternative supportate da veri e capaci leader europei, non ha consentito di modificare la costruzione palesemente affrettata dell’aggregazione monetaria: ciò che sarebbe servito per mettere sotto tutela l’esuberanza tedesca dopo la riunificazione, si è trasformata invece in una formidabile occasione per mettere sotto tutela l’Europa stessa proprio dalla Germania a causa di criteri di convergenza che non rappresentavano uniformemente le realtà di ciascun paese membro.
Nessuno, da Maastricht ad oggi, è riuscito a contrastare o almeno a mitigare l’egemonia crescente della Germania e l’incapacità di tutti gli altri ha consentito a quel Paese di accumulare un vantaggio enorme a discapito di tutti, senza che nessuno reclamasse mai compensazioni o meccanismi che attenuassero questi scompensi. Nella letteratura economica era ben noto che aree valutarie di questa portata avrebbero immancabilmente creato enormi problemi infliggendo pesanti mortificazioni alla maggioranza delle popolazioni coinvolte fino a giungere all’implosione e le future evoluzioni come il Fiscal Compact, concepite nel tentativo di supportare il più possibile la sostenibilità della convergenza, produrranno invece ulteriori disagi alle già precarie economie dei cosiddetti Paesi periferici. Fino ad oggi gli effetti perversi della moneta unica hanno modificato in negativo il Vecchio Continente, caratterizzato da aree sempre più ricche e produttive ed altre sempre più deindustrializzate e povere con tassi di disoccupazione da “economia di guerra” e la politica economica adottata dalle Istituzioni europee si è dedicata più a salvare il salvabile nei bilanci disastrati delle banche e società finanziarie che al bene comune, il tutto supportato paradossalmente con il ricorso fiscale sempre più esasperato a carico proprio dei cittadini e del mondo dell’economia reale e con l’aggiunta inedita di tagli lineari nel comparto sociale in piena fase recessiva.
Nell’assoluta certezza che il nostro supremo compito rimane comunque il rispetto e la difesa della carta Costituzione ad iniziare dall’alto del suo primo articolo che ci ricorda che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sul pareggio di bilancio e dall’osservanza dell’art.11, che impone senza mezzi termini, la condizione di reciprocità nella cessione di sovranità, è quanto mai giunto il momento di definire con chiarezza i destini futuri del nostro Paese e non continuare a rincorrere affannosamente numeri e parametri macroeconomici anche a costo di ritornare nella pienezza della sovranità monetaria.
Sulla base di queste argomentazioni e nella necessità ineludibile di aprire un serio dibattito pubblico che coinvolga tutte le forze politiche e sociali del Paese sulla nostra partecipazione all’aggregazione monetaria europea, il Convegno promosso dal Dipartimento di Economia dell’Università degli studi Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara alla Camera dei Deputati il 12 settembre prossimo, prende spunto dal recentissimo libro-denuncia “Europa Kaputt (s)venduti all’euro” di Antonio Maria Rinaldi, presentazione di Paolo Savona e postfazione di Alberto Bagnai, per promuovere finalmente il confronto.
L’invito della professoressa Anna Morgante, Presidente della Scuola di Scienze Economiche, Aziendali, Giuridiche e Sociologiche dell’Università Gabriele d’Annunzio, alla partecipazione di relatori di indiscusso livello come i professori Giuseppe Guarino, Paolo Savona, Giorgio La Malfa, Vincenzo Scotti, Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai e Antonio Maria Rinaldi, quest’ultimi ben noti per le loro posizioni di motivata forte critica nei confronti dell’aggregazione monetaria europea, consentirà un dibattito estremamente articolato con contenuti scientifici a supporto delle tesi esposte.