Se dovessimo chiedere a cento simpatizzanti di Matteo Renzi – che si dichiarano disponibili a votarlo – i principali punti del suo programma politico, ovvero che cosa contribuirebbero a realizzare con il loro voto, state certi che la stragrande maggioranza di loro risponderebbe con un laconico “non so” e l’intervistatore sarebbe quindi portato a chiedere perché allora lo voterebbero. La risposta sarebbe altrettanto stringata: “lo voterei perché è nuovo”.
Se poi dovessimo porre la stessa domanda agli elettori di Silvio Berlusconi, anche in questo caso non sarebbe una sorpresa scoprire che la maggior parte di loro non conosce che cosa significhi “rivoluzione liberale”, tanto meno la curva di Laffer o il tema del conflitto d’interessi.
La carta vincente del carisma
Eppure, nel comune sentimento popolare, entrambi sono identificati come le persone di riferimento dei rispettivi gruppi politici, ovvero riconosciuti come leader. La caratteristica comune ad entrambi è la capacità di esercitare una forte influenza sulle persone accattivandosi il loro consenso che poi, in politica, si traduce in numero di voti. In sintesi, entrambi possiedono carisma che usano con indubbia capacità comunicativa. Ed è una caratteristica necessaria per chi si propone leader di uno schieramento politico. Addirittura, per il risultato finale, trascende i contenuti della proposta del partito o movimento di appartenenza nella fase fondamentale del processo di affermazione, ovvero in campagna elettorale.
Grillo e Giannino esempi nostrani
A conferma, per citare un caso emblematico, basta ricordare il successo del movimento di Beppe Grillo e chiedersi quanti tra coloro che lo hanno portato con le elezioni di febbraio a risultare il primo partito conoscessero i candidati che li avrebbero poi rappresentati in Parlamento. Oppure, in questo caso quale esempio di insuccesso, ricordare – ahimè – il flop elettorale di Fare Fermare il declino imputabile in gran parte alle vicende personali dell’ottimo Oscar Giannino che ne era figura di riferimento, sebbene il contenuto del manifesto e la riconosciuta straordinaria competenza, nonché lucidità, di Oscar nulla avessero a che fare con i suoi titoli accademici e tanto meno dipendessero da questi ultimi.
Come deve comunicare la politica
L’errore più banale che commettono molti professionisti della politica, aspiranti candidati al Parlamento e persino presunti leader di partito è quello di pensare e comunicare come se il popolo degli elettori si occupasse tutti i giorni di politica, che siano tutti una sorta di tecnici addetti ai lavori: ebbene, non è così.
Certamente non perché gli italiani siano – come alcuni intellettualoidi snob radical chic da salotto sostengono – un insieme di qualunquisti, refrattari e pigri ad interessarsi della res pubblica. Hanno invece, più semplicemente, interessi e spesso problemi quotidiani più impellenti di cui occuparsi ed ai quali dedicano la maggior parte della loro giornata: il lavoro, i figli, le rate del mutuo, la spesa al supermercato, la pensione che non basta ad arrivare a fine mese, andare in vacanza o al ristorante.
Imparare a raccontarsi e a interpretare
In sintesi, hanno bisogni da soddisfare e paure da sconfiggere: chi, in politica, ha saputo e le saprà interpretare e tradurre in risposte semplici, dosate in giusta misura al cervello, al cuore ed alla pancia – non necessariamente nell’ordine – ha potuto e potrà pensare a buon titolo di raggiungere l’obiettivo della vittoria perché, in ultima istanza la gente o, se preferite la massa, ha sempre un estremo ed innato bisogno: quello di identificarsi anche inconsciamente in un riferimento che abbia il volto di una persona che sappia raccontare e raccontarsi, un leader che li aiuti anche a sognare un futuro migliore che difficilmente è riconoscibile da tutti nelle pagine di un freddo programma elettorale.